Elezioni nel Regno Unito. Corbyn tallona May

by Leonardo Clausi, il manifesto | 4 Giugno 2017 9:54

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LONDRA. Ieri sera c’è stato l’ultimo confronto (a distanza) fra Theresa May e Jeremy Corbyn. In quest’ordine, i due si sono misurati con una platea di cittadini nell’edizione straordinaria della trasmissione televisiva della Bbc Question Time. Non c’è stata la sperata débâcle dell’una, né il trionfo dell’altro. Entrambi sono stati messi all’angolo nei rispettivi punti deboli. Entrambi hanno tenuto il campo. Esprimendo perfettamente la psicologia di due partiti tornati finalmente a essere diametralmente opposti dopo decenni di scimmiottamenti reciproci.

È VERO CHE IN SIMILI contraddittori il partito del premier in carica ha tutto da perdere, ma May sembra imbarazzata da quegli stessi cittadini che dovrebbe rappresentare. Per cui, dopo una settimana in cui ha cercato malamente di tamponare i progressi impensabili della campagna avversaria – trascinata da un Corbyn in stato di grazia che ha dimezzato il vantaggio che avevano i Tories un mese fa – si è alfine immolata.

Con decisione, per 45 minuti ha risposto al pubblico su austerity in politica economica, giustificato i vari voltafaccia su Brexit (era una remainer), elezioni e sulle più socialmente sciagurate proposte del suo programma elettorale. Ha deposto l’armatura di androide sputa-soundbites e dato prova di senso del ridicolo, evitando accuratamente «strong and stable». Che non fosse proprio Madre Theresa si sapeva. Il nadir lo ha raggiunto quando, rivolgendosi a un’infermiera con il salario bloccato dal 2009, le ha risposto che «i soldi non crescono sugli alberi» – l’ultimo slogan Tory sul manifesto super-keynesiano dei laburisti – dimostrando di avere proprio l’empatia da ufficiale giudiziario che ci vuole a guidare quel partito.

Ma se per lei la campagna elettorale è una via crucis, sembra una goduria per il brioso Corbyn. Il quasi settantenne leader ha retto alla pressione dimostrando la naturalezza e l’apertura che ne hanno fatto un attivista per quarant’anni. Non più analfabeta mediatico, unisce questa nuova disinvoltura a quello che ai suoi colleghi socialdemocratici europei manca del tutto: un programma socialista.

NATURALMENTE è finito sotto attacco per il suo passato di pacifista militante. Più volte gli è stato chiesto se avrebbe il fegato di difendere la patria incinerendo milioni di persone: dopotutto, questo è un paese con un arsenale nucleare (obsoleto) che ancora sostenta l’autorappresentazione di superpotenza. Poi, cosa ancora più grave per la Middle England, gli hanno puntualmente rinfacciato presunte simpatie con l’Ira, in una sala immersa nell’oblio collettivo delle merendine sur l’herbe fra Thatcher e Pinochet.

I SONDAGGI SONO IN PREDA in queste ultime settimane alle convulsioni per una formidabile rimonta Labour, mai così in alto come negli ultimi tre anni: Corbyn continua a erodere il vantaggio dei conservatori e certe proiezioni indicano che la mossa machiavellica della premier – che ha convocato queste elezioni a sorpresa dopo aver ripetutamente escluso che lo avrebbe fatto – anziché la desiderata slavina di un centinaio di seggi potrebbe portarne solo pochi in più, rischiando il molto rumore per nulla. La media dei sondaggi vede i Tories al 43%, il Labour al 36, i Libdem all’8 e Ukip e Verdi, rispettivamente al 4 e al 2%.

L’ULTIMO PUBBLICATO da YouGov dà il vantaggio Tory sui laburisti ad appena tre punti, da dodici che erano un mese fa. Un altro sondaggio, condotto dalla Icm, calcola il vantaggio ancora a 12 punti, ma per quanto ampio sia il margine d’errore, queste ultime due settimane sono state un crescendo per Corbyn, perfettamente a suo agio nel bucare la bolla denigratoria in cui lo avevano chiuso tutti i media mainstream.

TANTO CHE ORA, dopo aver passato gli ultimi due anni a massacrarlo, uno a uno i commentatori neoliberal-cosmopoliti del Guardian sono saliti a bordo: il giornale ha annunciato venerdì sera che lo appoggerà. Mossa dettata da buon senso, oltre che da opportunismo: con i Libdem inchiodati all’8% l’Ukip sgonfiato e i Verdi ininfluenti, questa è tornata una classica corsa inglese a due partiti. (Quasi) gli stessi che erano mezzo secolo fa: gettata la maschera finta e solidale, ora i Tories promettono di tagliare la tassa sul reddito ai più abbienti, mentre il Labour ha abbandonato la sottomissione agli Stati uniti in politica estera e la prudenza fiscale con cui ha corteggiato il centro in questi ultimi vent’anni in politica economica. Ma questo significa anche che il Parlamento «appeso» senza cioè la maggioranza assoluta dell’uninominale secco, resta l’alternativa più probabile a una vittoria plebiscitaria dei Tories. Si vota giovedì.

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