La rabbia esplode a Grenfell, dove di povertà si può bruciare

La rabbia esplode a Grenfell, dove di povertà si può bruciare

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LONDRA. Si parla ora di trenta morti, ma il bilancio ufficiale delle vittime di Grenfell Tower resterà provvisorio a lungo. Ancora ieri sera degli ultimi focolai erano visibili. La polizia dispera di poter identificare quanti ancora nella carcassa dell’edificio, che durante il rogo ha raggiunto una temperatura di oltre mille gradi e ora presenta problemi di stabilità. Mancano settanta persone accertate all’appello. In serata la notizia che 5 milioni di sterline saranno messi a disposizione dallo stato, cosa che non ha affatto placato gli animi, tanto che la sede del council è stata quasi presa d’assalto dai cittadini.

UNA RABBIA VISCERALE, non lontana da quella che portò ai riots nel 2011 dopo l’uccisione di Mark Duggan. Mentre l’inchiesta indetta da Theresa May arriva puntualmente durante la conta delle vittime, Jeremy Corbyn vuole che gli appartamenti miliardari sfitti disseminati attorno vengano requisiti e dati agli sfollati: un autentico assalto al cielo nel paese che ha brevettato la proprietà privata che provocherà una formidabile levata di scudi.

Continuano intanto a emergere dettagli che inchiodano council e housing association alle proprie responsabilità. La pannellatura ritenuta probabile veicolo delle fiamme era stata bandita negli Usa in edifici oltre una certa altezza. Un’inchiesta della British Automatic Fire Sprinkler Association del 2012 aveva calcolato i costi di allestimento di spruzzatori – gli unici veri dispositivi di sicurezza antincendio in edifici di quell’altezza – a poco più di mille sterline ad appartamento. La somma, pur moltiplicata per i 120 appartamenti dello stabile, sarebbe stata di molto inferiore ai circa tre milioni spesi per la pannellatura di bell’aspetto e alta combustione che ha peggiorato la catastrofe. Il Grenfell Action Group, l’associazione di inquilini i cui appelli erano rimasti inascoltati, aveva inoltre ripetutamente denunciato l’ammasso di rifiuti abbandonato ai vari piani che ostacolava le vie di fuga.

Ieri la regina e il nipote William, duca di Cambridge, si sono fatti coraggio e hanno visitato il Westway Sports Centre, struttura nei pressi della torre dove è stato allestito un centro di accoglienza. Sono quasi vicini di casa: il Kensington Palace, una delle dimore di famiglia, è non troppo distante. Un coraggio mancato giovedì a Theresa May, che ha evitato di incontrare gli sfollati, vittime indirette del suo stesso partito e delle sue politiche di tagli. La sua visita «guidata» sul luogo del disastro di mercoledì con i soli soccorritori ha riacceso le fiamme della rabbia. E la sera, quando è andata a incontrare i residenti in una chiesa vicina per metterci una pezza, è stata accolta talmente male da essere portata via in tutta fretta da un imponente servizio d’ordine.

LA STESSA RABBIA non aveva risparmiato il sindaco Sadiq Khan, le cui credenziali pro-business diventano atto d’accusa in una situazione del genere, o l’anchor man di Channel 4 News Jon Snow. Per tacere della neo leader Tory della Camera dei Comuni, Andrea Leadsome, ex rivale di May alla guida del partito. Vederla annaspare ieri con il suo accento levigato di fronte alle accuse dei residenti era come assistere a una rappresentazione vivida e drammatica delle due città di cui è fatto Kensington & Chelsea: vicine geograficamente ma inavvicinabili socialmente.

PROPRIO QUI, in una delle zone più ricche e povere del mondo, di povertà si può bruciare. Nessun’altra zona del paese ha un gap di reddito così enorme fra chi guadagna troppo e chi troppo poco. I senza tetto sono aumentati del 43 per cento dal 2010, l’anno di insediamento della coalizione Tory-Libdem, un terzo dei deputati conservatori è un padrone di casa. Austerity e un mercato immobiliare oscenamente pompato hanno fatto sì che i council ovviassero ai tagli governativi rivendendosi la propria ricchezza, gli alloggi popolari. È così che a Grenfell è scoppiato il bubbone della diseguaglianza. Che non ha mai smesso di gonfiarsi in trent’anni di neoliberalismo bipartisan.

FONTE: Leonardo Clausi, IL MANIFESTO



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