Nuove assoluzioni per l’amianto

Nuove assoluzioni per l’amianto

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Mesotelioma killer. Ancora un giudizio di non colpevolezza per i manager delle fabbriche milanesi dove fra gli anni ’70 e ’80 gli operai non erano protetti dalle fibre di amianto, rischiando e molte volte contraendo il caratteristico tumore ai polmoni.

ROMA. Ancora un’assoluzione generale in un processo per le vittime dell’amianto. E ancora una volta il verdetto di non colpevolezza, dall’accusa di omicidio colposo, arriva dal Tribunale di Milano. Questa volta sono stati assolti otto ex manager della Breda Termomeccanica-Ansaldo, finiti sotto processo per la morte di una decina di operai causata, secondo la pubblica accusa, dall’esposizione all’amianto nello stabilimento milanese di viale Sarca tra gli anni ’70 e il 1985.

La sentenza di assoluzione è in linea con i recenti verdetti a Milano per casi analoghi. A maggio il tribunale aveva prosciolto Paolo Cantarella e Giorgio Garuzzo (ex di Fiati Auto) per dieci morti di operai dell’Alfa Romeo di Arese. A febbraio la Corte d’Appello aveva assolto quattro ex manager Enel per la morte di otto lavoratori alla centrale di Turbigo. E nel novembre scorso sempre i giudici d’appello hanno assolto undici manager Pirelli, condannati in primo grado per la morte di una ventina di lavoratori attivi fra gli anni ’70 e ’80.
Soprattutto in appello, le decisioni della quinta sezione del Palagiustizia milanese stanno conducendo verso le assoluzioni: la giudice Manuela Cannavale, nelle motivazioni di un precedente processo, aveva scritto: ““Le invocazioni alla ricerca di un responsabile per queste drammatiche morti non cadono nel vuoto, ma la tragedia collettiva, che purtroppo vedrà il suo picco tra dieci anni, non può e non deve essere risolta sul piano penalistico”. E ancora: “Caricare i parenti delle vittime di aspettative che non possono essere soddisfatte non pare nemmeno corretto”.
In contrasto con l’attuale giurisprudenza meneghina Aiea e Medicina Democratica, associazioni in prima fila per l’assistenza ai familiari delle vittime da amianto, pronte a segnalare che le linee guida della Cassazione sarebbero altre. Soprattutto se, come ha osservato il pm Nicola Balice in quest’ultimo processo, c’erano state condotte gravemente colpose da parte degli imputati, “che sapevano di mettere a rischio i lavoratori ma che se ne sono infischiati fino al 1985”.
Per certo fin dagli anni sessanta la scienza medica ha sancito la pericolosità del materiale. Ma solo nel 1991, con criminale ritardo, è stato fissato il valore limite di esposizione (nella misura di 0,6 fibre per cm. cubo per il crisotilo e 0,2 fibre per cm. cubo per le altre varietà di amianto), E l’anno seguente, il 1992, la legge 257/92 ha introdotto il divieto di costruire con materiali contenenti amianto.
Sarebbero bastati robusti impianti di aspirazione, e mascherine antipolvere con filtri adeguati, per evitare, o al limite ridurre considerevolmente, una terribile strage che sta costando in media 1.500 vittime l’anno, come emerge dal Registro nazionale dei mesoteliomi. Così ieri i familiari e gli amici dei lavoratori presenti in aula, tra cui il portavoce del Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro, Michele Michelino, hanno protestato ad alta voce: “La legge non è uguale per tutti, questa è giustizia di classe”.

FONTE: Riccardo Chiari, IL MANIFESTO



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