Migranti. Il modello spagnolo: muri e soldi al Marocco

by Andrea Nicastro | 3 Luglio 2017 11:04

Loading

Per andare dall’Africa all’Europa non è necessario rischiare la traversata dalla Libia verso l’Italia. C’è una strada molto più breve. Bastano 9 minuti e mezzo, quanti ne ha impiegati il 7 marzo scorso un gommone a chiglia rigida per lasciare la passeggiata di Fnideq, in Marocco, e arrivare sul lungomare di Ceuta, enclave spagnola in Africa. Lì, sono sbarcati bagnandosi i piedi appena, 17 migranti della Guinea che, come prevedono le norme europee, sono stati registrati, visitati e intervistati per l’eventuale domanda di asilo politico. Con il mare calmo anche passare lo stretto di Gibilterra è estremamente più semplice che affrontare il Canale di Sicilia. L’Europa si vede con facilità dal Marocco, come dalla Turchia si vedono le isole greche. Tra gli Stati della frontiera meridionale d’Europa (Grecia, Spagna e Italia) la nostra penisola è la più lontana. Allora perché nel 2016 sono arrivati in Spagna 6.109 migranti mentre in Italia ne sono sbarcati 181 mila? Sul versante turco-ellenico la risposta è nei tre miliardi l’anno che l’Ue paga ad Ankara per bloccare il flusso verso la Grecia. Sulla frontiera marocchino-spagnola la solidità del blocco ai migranti ha una spiegazione molto simile, con la differenza che non è l’Ue a pagare, ma direttamente Madrid di tasca propria. Nella bolletta spagnola anti-immigrazione ci sono due voci. Una è puramente economica, fatta di accordi commerciali, esenzioni doganali, investimenti e aiuti allo sviluppo che Madrid concede generosamente a Rabat. L’altro prezzo è politico e si concretizza nell’appoggio spagnolo alle rivendicazioni marocchine di sovranità sul Sahara Occidentale che invece vorrebbe essere indipendente. Durante il vertice franco-spagnolo di febbraio il premier Mariano Rajoy ha definito «eccellenti» i rapporti con Rabat. «Le forze di sicurezza marocchine — ha detto Rajoy — hanno messo in atto tutto ciò che potevano per fronteggiare il flusso migratorio». In effetti il Marocco non solo controlla, ma, come fa anche l’Algeria con la Spagna, è disponibile a riprendersi i migranti sbarcati nel regno spagnolo.

Il vantaggio di avere come dirimpettai due Stati dalle polizie efficienti come Marocco e Algeria è evidente soprattutto a noi che è toccata in sorte la Libia del post Gheddafi, ancora terra di nessuno. Ma anche la splendida cintura di sicurezza di Madrid non è perfetta e non è detto duri all’infinito. Fuori dal muro che difende l’enclave spagnola di Ceuta ci sono circa mille africani irregolari pronti ad arrampicarsi sul filo spinato per entrare nella fortezza europea. L’ultimo assalto massiccio è stato alla vigilia del Ferragosto 2014 con 1.200 migranti giunti via mare in 24 ore in Andalusia e altri 300 scavalcando il muro di Ceuta e Melilla. A Madrid pochi dubitano che ondate come quella possano ripetersi in qualsiasi momento, incontenibili, per quanto si rafforzino la barriera terrestre o la sorveglianza delle coste. Basta che Rabat lo permetta. Può farlo e potrebbe volerlo fare.

La Corte Ue di Giustizia ha dichiarato il 21 dicembre scorso che il «Sahara Occidentale non fa parte del Marocco». Un colpo durissimo alle ambizioni del regno di Mohamed VI. A febbraio una dichiarazione del ministro Aziz Akhnnouch (uno dei più ricchi e influenti nel governo marocchino) è suonata come un avvertimento: «Se la sentenza sul Sahara Occidentale troverà un seguito pratico, smetteremo di sforzarci di trattenere le ondate migratorie». Pochi giorni dopo è partito il gommone con i 17 africani in direzione Ceuta (Spagna). Chiaro, no? L’Africa è a 9,5 minuti e il Marocco può aprire i rubinetti quando vuole. Il Sahara Occidentale vale un altro tsunami migratorio?

FONTE: Andrea Nicastro, CORRIERE DELLA SERA[1]

 

Post Views: 268
Endnotes:
  1. CORRIERE DELLA SERA: http://www.corriere.it/

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2017/07/93105/