Overshoot day, impronta ecologica insostenibile, l’Italia tra i peggiori

Overshoot day, impronta ecologica insostenibile, l’Italia tra i peggiori

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L’Italia, che ha già esaurito il 19 maggio scorso tutte le risorse prodotte dai suoi territori, risulta essere uno dei paesi con l’impronta ecologica più insostenibile

Gli umani hanno contratto un debito ecologico enorme con il pianeta terra, non onorarlo è impossibile, pena l’estinzione. Ieri, 2 agosto, l’umanità ha consumato tutte le quantità di risorse naturali che la Terra è in grado di generare ogni anno: in otto mesi ci siamo “mangiati” quello che avremmo dovuto utilizzare nell’arco di dodici mesi. L’infelice ricorrenza si chiama “Overshoot day” – il giorno del sovrasfruttamento – ed è qualcosa di più di un campanello di allarme: secondo il Global Footprint Network per soddisfare l’insano appetito del nostro modello di sviluppo ci vorrebbero quasi due pianeti (1,7). E’ a partire dagli anni ’70 che la ricorrenza ha cominciato a cadere prima della scadenza naturale del 31 dicembre. Quasi inutile aggiungere che il 2 agosto rappresenta un record negativo, e che l’obiettivo è invertire la tendenza (l’anno scorso era l’8 agosto).

C’è poi una nota a margine che ci riguarda. In Italia il giorno del sovrasfruttamento è arrivato lo scorso 19 maggio. Significa che siamo uno dei Paesi più impattanti, con una impronta ecologica più alta della media mondiale. Prima del 1965 la necessità di sfruttare le risorse dalle aree agricole, dalle foreste, dai pascoli e lo spazio “rubato” per le infrastrutture era inferiore alla capacità naturale di produrre risorse (oggi in cinque mesi l’Italia esaurisce il suo budget di risorse). Si chiama sviluppo insostenibile. Limitandosi al mare, colpisce la data del 31 marzo: è in quel giorno che in Italia si esaurisce il pescato nei nostri mari, significa che per i restanti nove mesi dipendiamo dal pesce importato dall’estero.

“Il nostro pianeta è finito – commenta Mathis Wackernagel, Ceo del Global footprint network e creatore insieme ad altri del concetto di impronta ecologica – ma le possibilità umane non lo sono. Vivere all’interno delle capacità di un solo pianeta è tecnologicamente possibile, finanziariamente vantaggioso ed è la nostra unica possibilità per un futuro prospero”.

Anche perché non è un mistero il modo in cui gli esseri umani consumano le risorse. Il 60% corrisponde alla “richiesta di natura” necessaria per l’assorbimento delle emissioni di anidride carbonica (dimezzare le emissioni di CO2 significherebbe posticipare la data di circa tre mesi). Poi c’è la produzione di cibo, che si mangia il 26% dell’impronta ecologica del pianeta: “Se dimezzassimo lo spreco, mangiassimo alimenti a basso contenuto proteico e seguissimo una dieta adeguata in termini di calorie, potremmo ridurre l’impronta ecologica del 22%”, è il parere di Marta Antonelli, manager della Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition. In Italia viene sprecato il 35% dei prodotti freschi (latticini, carne, pesce), il 19% del pane e il 16% di frutta e verdura. Il tema dell’agricoltura è un altro nodo ineludibile. Le attività agricole consumano il 70% dell’acqua dolce prelevata e, a livello globale, il settore agricolo produce il 24% dei gas serra (più delle industrie e dei trasporti)

Allo spreco di cibo si deve anche una perdita di 1.226 milioni di mc di acqua all’anno (il 2,5% della portata annua del Po) e l’immissione nell’atmosfera di 24,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Il Food Sustainability Index ha anche analizzato la produzione di cibo nei 25 paesi che rappresentano i due terzi della popolazione mondiale: la Francia, grazie a politiche innovative contro lo spreco e per un approccio equilibrato agli alimenti, produce il “cibo più buono” (seguono Giappone e Canada).

Per gli attivisti che lanciano la campagna #movethedate si può ancora rimediare. Se riuscissimo a spostare in avanti questa data di 4,5 giorni ogni anno, entro il 2050 si ritornerebbe in una situazione di equilibrio con l’uso delle risorse naturali. “In questa situazione – spiega Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia – è urgentissimo dare concretezza immediata agli accordi presi in sede internazionale. E’ urgente attivare l’Agenda 2030 con i suoi 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, considerandoli in maniera interconnessa e impostare una nuova economia capace di seguire i processi circolari della natura che la nostra visione economica ha purtroppo trasformato in processi lineari con la produzione di scarti, rifiuti e inquinamento”.

FONTE:Luca Fazio, IL MANIFESTO

 

 



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