L’uomo che per Obama seguì il caso Regeni: “Ordinai agli 007: aiutate gli italiani”
ROMA. «Chiedemmo di passare agli italiani quante più informazioni possibili. La scelta di non trasmettere tutto quello che avevamo fu fatta per proteggere le fonti che ci avevano aiutato. Per questo non so dire se fu rivelata l’identità dell’unità specifica responsabile della morte di Giulio. Molto probabilmente quello che arrivò non era materiale che si poteva usare in un processo, perché non era stato raccolto seguendo canali tradizionali. Ma non ho dubbio alcuno che dai documenti che trasmettemmo all’Italia si potesse capire quello di cui eravamo fortemente convinti: che i servizi di sicurezza egiziani fossero responsabili del rapimento e dell’omicidio di Giulio Regeni. E che quello che era accaduto fosse noto ai livelli più alti dello Stato egiziano ».
L’alto funzionario dell’Amministrazione Obama, una delle persone che ha seguito sin dal primo momento e molto da vicino il caso del ricercatore italiano, pesa le parole una a una. Ma le dichiarazioni arrivate ieri da Palazzo Chigi non spostano di una virgola quello che, sempre in forma anonima, ha detto al New York Times e che oggi conferma a Repubblica: nelle settimane successive alla morte di Regeni l’intelligence americana, su richiesta del dipartimento di Stato e della Casa Bianca, trasmise ai colleghi italiani le informazioni raccolte dai suoi uomini su quello che era accaduto al Cairo fra il 25 gennaio e il 3 febbraio 2016.
La fonte ricostruisce la vicenda con precisione: «Seguimmo il caso di Giulio con molta attenzione: perché ci aveva sconvolto e perché temevamo che quello che era accaduto potesse capitare di nuovo a uno dei nostri cittadini. Non aprimmo nessuna inchiesta specifica, ma raccogliemmo tutto il materiale che potevamo. Concludemmo, con forza, che la responsabilità era dei servizi di sicurezza egiziani. Chiedemmo che la condivisione delle informazioni con gli italiani fosse una priorità per i nostri servizi segreti: non c’era alcuna resistenza, ma volevamo con forza che il passaggio di informazioni fosse fatto senza ritardi perché credevamo che potesse aiutare a fare giustizia. So per certo che le informazioni furono trasmesse via servizi segreti, e non per canali diplomatici: e che lo scambio avvenne in diverse occasioni, non in una sola volta. Tutto questo accadde nelle settimane successive al ritrovamento del corpo di Regeni ». Quello che l’ex funzionario non sa o non può dire, è quali informazioni esatte siano arrivate a Roma: per evitare di identificare le loro fonti, gli americani decisero di non consegnare l’intero fascicolo ma di fornire comunque tutto il possibile agli alleati: «Non so se sia stato rivelato agli italiani quale unità fu responsabile della morte di Giulio: ma fu di certo indicata la responsabilità dei servizi di sicurezza. E il fatto che i vertici dello Stato erano a conoscenza di quanto accaduto».
Dette così, le parole del funzionario non aiutano a fare luce su uno dei punti più controversi che ancora oggi, a più di 18 mesi dalla morte, circonda la vicenda Regeni: se la responsabilità dei servizi di sicurezza egiziani è (almeno da parte italiana) ormai chiara, meno semplice è capire a quale dei tre apparati paralleli del Cairo, — la Sicurezza nazionale, i Servizi segreti veri e propri e i Servizi segreti militari, spesso in competizione l’una con l’altro — sia da attribuire il rapimento, la tortura e l’assassinio del 28nne di Fiumicello.
A domanda diretta la fonte si trincera dietro a una frase interlocutoria: «Non so se siano state trasmesse informazioni su quale fosse l’apparato responsabile », ripete. Parole che però dicono molto: gli Stati Uniti avevano informazioni in questo senso. Ovvero, erano in grado di dire quale sia l’apparato di sicurezza responsabile di quello che è accaduto: «Abbiamo raccolto prove incontrovertibili sulle responsabilità», si limita a dire il funzionario.
C’è solo un interrogativo che il funzionario americano non è in nessuna maniera in grado di sciogliere. Lo stesso che agita le notti di Paola e Claudio Regeni: perché Giulio è stato ucciso? «Posso capire perché era finito nel mirino: in quelle giornate di tensione per l’anniversario di Piazza Tahrir c’era un clima di paranoia e le sue ricerche avevano destato sospetti. Ma perché sia stato ucciso, e in quel modo, non so dirlo. Anche io me lo chiedo ancora ».
Fonte: FRANCESCA CAFERRI, LA REPUBBLICA
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