Razzista e pro-Trump la galassia alt-right senza leader
NEW YORK. FERRAGOSTO 2017, sarà ricordato come il giorno in cui Donald Trump ha sdoganato ufficialmente l’alt- right. Nessun presidente repubblicano aveva mai osato tanto. A pochi giorni dai violenti scontri di Charlottesville dove un militante di estrema destra aveva ucciso una giovane donna, Trump ha detto: «C’erano delle persone molto perbene alla manifestazione». L’assoluzione presidenziale ai cortei dove sventolavano simboli del Ku Klux Klan (Kkk) e di Adolf Hitler è inaudita ma non sorprendente. È il culmine di un idillio sbocciato nella lunga scalata di Trump alla Casa Bianca. Lo studioso Richard Fording, che sta scrivendo un libro su questo tema, ricorda che «durante tutta la campagna elettorale lui era attento a non perderli, li citava costantemente ». Le prove generali per la candidatura Trump risalgono al 2012, quando lui cavalcò la menzogna su Barack Obama nato in Kenya, quindi straniero, ineleggibile, usurpatore.
CONQUISTÒ il consenso dell’estrema destra razzista. Che non lo ha mai tradito. Ma che cosa si nasconde dietro la sigla alt-right, quali sono le componenti di questa galassia?
UN’ETICHETTA CONTESTATA
Non tutti accettano questo termine. A lanciarlo fu una celebrity dell’estrema destra, Richard Spencer, nel 2008: l’anno dell’elezione di Barack Obama. Spencer, oggi richiestissimo dai comitati di studenti di estrema destra per le conferenze nei campus universitari (spesso cancellate per motivi di ordine pubblico), coniò il termine per includervi tutta la destra radicale che si dissociava dal conservatorismo troppo moderato di George W. Bush. Tanti a sinistra denunciarono quel termine come un’ipocrisia, un’etichetta asettica per nascondere la sostanza razzista, gli addentellati con milizie armate, neofascisti, suprematisti bianchi.
Un altro esperto, George Hawley, che sta per pubblicare il saggio “Making Sense of the Alt-Right”, mette in guardia contro le semplificazioni: «Sbaglia chi crede che l’alt-right sia un’organizzazione, un gruppo con una struttura e una leadership». La descrive come «una folla anonima che comunica via Internet e ha in comune un’agenda politica razzista». Sottolinea la forte attrazione verso i giovani, Millennial e perfino liceali.
DAL MANIFESTO A CHARLOTTESVILLE
29 marzo 2016, in piena battaglia per la nomination repubblicana. Quel giorno il sito Breitbart News di Stephen Bannon (l’ex consigliere della Casa Bianca licenziato venerdì) pubblica “An Establishment’s Conservative Guide to the Alt-Right”. Lo firmano Milo Yannopoulos, altra pop star del movimento, e Allum Bokhari. Il titolo è ironico, i due autori fingono di voler spiegare al ceto politico repubblicano che cosa sia l’alt-right. Comincia come il Manifesto di Karl Marx: «Uno spettro si aggira…». In questo caso lo spettro è l’estrema destra, incombe minacciosa sulle «cene per raccogliere fondi e sui think tank dell’establishment ». I notabili della destra «lo temono più di quanto paventino la sinistra». Perché l’alt-right è «giovane, creativa, eretica». Chiaro l’aggancio con la campagna di Donald Trump, tutta anti-establishment, con temi come protezionismo e isolazionismo, lontani dalla tradizione repubblicana. Più il razzismo esplicito.
E’ a quel Manifesto che si collega idealmente, 17 mesi dopo, la manifestazione Unite the Right indetta a Charlottesville. La organizza Jason Kessler, membro dei Proud Boys, «attivista pro-bianchi e pro-Trump». Protesta contro la rimozione della statua di Robert Lee, generale dei Confederati che si battevano per preservare lo schiavismo nella guerra civile del 1861-65. A Charlottesville appare tra gli oratori Richard Spencer.
DAI NAZISTI AL KKK
La banca dati più attendibile sull’estrema destra è del Southern Poverty Law Center, un’organizzazione per la difesa dei diritti civili. Elenca più di 1.600 gruppi estremisti. Cataloga come alt-right «quelli che credono che l’identità bianca è sotto attacco da parte di forze multiculturali che usano il politically correct e la giustizia sociale per minare la nostra civiltà».
Queste le sigle più importanti. Il National Socialist Movement è l’erede del partito nazista americano rifondato dopo la guerra nel 1959. Capo attuale è Jeff Schoep, 43 anni, animatore anche del Nationalist Front che punta a coalizzare altre sigle dell’alt-right.
Il Ku Klux Klan è la sigla più antica: nasce dopo la sconfitta sudista nella guerra civile, all’epoca della Ricostruzione, per sabotare violentemente i diritti dei neri: pratica massacri, linciaggi (anche contro altre minoranze inclusi gli italiani). La sua ultima resurrezione è degli anni Sessanta per contrastare Martin Luther King e le leggi sui diritti civili di Kennedy-Johnson. Uno dei leader recenti, David Duke, appoggiò in campagna elettorale Trump. Capo attuale dei Cavalieri del Kkk è il pastore cristiano dell’Arkansas Thomas Robb. Poi ci sono i White Nationalist di cui Spencer è il capo; i Neoconfederati che teorizzano una nuova secessione del Sud; le Milizie patriottiche protagoniste dell’occupazione di terre federali nell’Oregon un anno fa; i Proud Boys nati nel 2016 per lavorare alla vittoria di Trump. Fa capolino la destra religiosa — pur distinta dall’alt-right — con il predicatore Jerry Falwell Jr che difende le parole di Trump dopo Charlottesville.
UN PRESIDENTE FASCISTA?
Il magazine Time ripubblica una fotografia da brivido: ventimila nazisti al Madison Square Garden di New York. L’anno è il 1934, al raduno degli Amici della Nuova Germania. 1934, è quando il romanziere Sinclair Lewis immagina che l’America elegga alla Casa Bianca un fascista. Un anno fa, quando ancora la vittoria di Donald Trump era improbabile, l’intellettuale conservatore Robert Kagan lanciò l’allarme sul Washington Post: «Così il fascismo arriva in America».
Ora il presidente Donald Trump sembra pentito e ha accettato di allontanare Stephen Bannon; ma lo incoraggia a continuare la sua battaglia da fuori, usando BreitbartNews. E alla Casa Bianca rimane come consigliere un altro esponente dell’alt-right, il giovane Stephen Miller. L’autore della legge anti-musulmani. Tra i suoi mentori, c’è un certo Richard Spencer.
Fonte: FEDERICO RAMPINI, LA REPUBBLICA
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