Cina e Russia contro le sanzioni a Pyongyang. Trump minaccia, Mattis frena

by redazione | 31 Agosto 2017 9:55

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«Talking is not the answer», parlare non è la risposta. A chiusura di un tweet in cui criticava la politica di attesa strategica adottata dagli Usa negli ultimi 25 anni, così il presidente Trump ha apposto il proprio personalissimo sigillo sull’incandescente dossier nordcoreano.

A nulla sono valsi gli appelli cinesi all’autocontrollo, nella speranza di ricondurre le schermaglie tra Pyongyang e Washington su binari diretti verso la riapertura del dialogo, né la condanna unanime della comunità internazionale circa l’ultima grave provocazione di Kim Jong-un: la Corea del Nord spara e provoca, The Donald alza la posta e mostra i muscoli, in un circolo vizioso di egoismi giocato sul destino della penisola coreana.

Più morbido e attendista il capo del Pentagono, James Mattis, che secondo i media Usa, mentre riceveva ieri il ministro della difesa sudcoreano, ha ribadito l’intenzione di perseguire la via diplomatica.

In risposta al lancio di un missile balistico a bassa quota che dai pressi di Pyongyang ha sorvolato l’isola giapponese di Hokkaido, terminando in mare a poco più di mille km a est della costa del Giappone, ieri i quindici membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu hanno condannato all’unanimità l’ultimo gesto «oltraggioso» del regime nordcoreano.

Nel documento firmato in seguito alla riunione d’emergenza del Consiglio, chiamata da Stati uniti e Giappone martedì, non si fa menzione di nuove sanzioni economiche contro Pyongyang e, pur esortando una piena applicazione delle misure adottate nemmeno un mese fa, si mantiene ufficialmente una posizione costruttiva per una risoluzione pacifica della «crisi nucleare coreana».

La Corea del Nord, per contro, conferma la legittimità dei propri test missilistici come contromisura necessaria alle minacce di Stati uniti e Corea del Sud, impegnati in un’esercitazione militare congiunta che si concluderà oggi.

L’agenzia di stampa nordcoreana Knca riferisce che il lancio del missile è stato supervisionato da Kim Jong-un in persona, in risposta alle esercitazioni in corso in Corea del Sud e per marcare il 107esimo anniversario dell’inizio dell’occupazione giapponese della Corea del Nord, durata 35 anni.

Kim, riporta Knca, ha espresso «grande soddisfazione» per l’esito del lancio, un «significativo preludio» al contenimento della minaccia statunitense rappresentata dalle basi militari di Guam.

Pyongyang continuerà a «tenere sotto controllo» le azioni Usa nell’area e condurrà nuovi test missilistici «col Pacifico come obiettivo» nel futuro prossimo.

La condanna del Consiglio di sicurezza dell’Onu sembra essere il primo passo verso un ulteriore presa di posizione della comunità internazionale, con Giappone e Usa decisamente spazientiti di fronte alle continue intemperanze di Kim e all’inefficacia dell’azione diplomatica cinese, che avrebbe dovuto «contenere» le sfuriate missilistiche di Pyongyang.

La premier britannica Theresa May, in questi giorni in visita ufficiale in Giappone, da Osaka ha esortato Pechino a fare più pressioni su Pyongyang.

Stoccata alla quale ha risposto indirettamente la portavoce degli esteri cinese Hua Chunying, criticando chi «spinge con forza sulle sanzioni ma non altrettanto per un ripristino del dialogo». Un atteggiamento non da «paese responsabile», come dovrebbero esserlo tutti quando «l’odore della polvere da sparo» persiste nei cieli sopra la penisola coreana.

Secondo i retroscena della riunione emersi sulla stampa internazionale, alcuni membri del Consiglio avrebbero palesato l’ipotesi di adottare ulteriori sanzioni economiche unilaterali contro la Corea del Nord, aumentando la pressione sul regime.

Un’opzione respinta senza mezzi termini da Cina e Russia, che hanno invece ribadito la necessità di bloccare il dispiegamento del sistema antimissile statunitense Thaad in territorio sudcoreano, considerata un’ingerenza indebita nell’area e uno stratagemma per spiare Pechino e Mosca.

Il ministro degli esteri cinese Wang Yi ha spiegato che la Cina sta valutando con il resto dei membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu una «risposta necessaria» agli ultimi sviluppi del caso. Misure che dovranno però necessariamente rispondere alle direttive formulate «nelle risoluzioni del Consiglio di sicurezza»; per la Cina, insomma, non sono ammesse iniziative unilaterali.

Koro Bessho, ambasciatore giapponese all’Onu, commentando l’esito della riunione del Consiglio di Sicurezza, ha dichiarato: «Spero di certo che saremo in grado di formulare una risoluzione forte in seguito a questo…comunicato».

FONTE: IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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