Corea del Nord. L’America fa prove di guerra Come reagirà Kim?

by Guido Olimpio e Guido Santevecchi | 21 Agosto 2017 16:34

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L’ allarme è scattato questa mattina per 17.500 soldati americani e sudcoreani sulla linea del 38° Parallelo. Il contingente è impegnato nelle grandi manovre chiamate in codice «Ulchi Freedom Guardian», un war game che simula la reazione all’aggressione da parte della Nord Corea. A Pyongyang questi giochi di guerra sono considerati prove d’invasione, definiti ieri «benzina sul fuoco che può accendere combattimenti reali». I generali nordcoreani odiano queste esercitazioni massicce del nemico, anche perché si sentono obbligati a rispondere con esibizioni di forza come fuoco d’artiglieria e movimento di reparti, attività dispendiose per un Paese stretto dalle sanzioni internazionali. C’è quindi da attendersi qualcosa di serio nei prossimi giorni.

Nel rituale nordcoreano però, anche una frase carica di insulti può contenere un’apertura negoziale. Kim Jong-un ha deciso di «osservare ancora un po’ il comportamento idiota e stupido degli Yankees» prima di ordinare il lancio di missili intorno all’isola di Guam, grande avamposto militare americano nel Pacifico. Nella dichiarazione del 15 agosto, il leader di Pyongyang aveva chiesto in tono aggressivo che Washington presentasse «un’opzione appropriata»: si era subito pensato che quel gesto potesse essere l’annullamento delle manovre militari congiunte con le forze di Seul in calendario dal 21 al 31 agosto.

Ritardando la raffica di missili intorno a Guam, Kim aveva dunque proposto uno scambio. Niente lancio se Trump avesse rinunciato a «Ulchi Freedom Guardian» (Ulchi era un grande generale coreano del settimo secolo). Proprio quello che da molti mesi suggeriscono i cinesi, appoggiati dai russi: sospensione per sospensione, stop ai testi missilistici e stop alle grandi manovre. Washington non ha accettato, per non dare un segnale di cedimento. Ma questa tornata di esercitazioni è a bassa visibilità: si svolge soprattutto con simulazioni al computer di attività di comando e controllo; e secondo la comunicazione di Seul i militari impegnati sul campo sono 17.500, in calo rispetto ai 25 mila del 2016. Un primo segnale per Kim?

Importante la rivelazione della stampa di Tokyo secondo la quale il ministro degli Esteri giapponese Taro Kono è stato avvicinato il 6 agosto dal collega nordcoreano Ri Yong-ho che avrebbe chiesto al Giappone di trasmettere agli americani una proposta di colloqui. Gli Usa continueranno a cercare colloqui con Pyongyang, ha detto il segretario di Stato Usa Rex Tillerson, ma gli americani avvertono che il Nord deve rinunciare al nucleare.

Eppure, trattare sembra l’unica opzione ragionevole. Che valore ha dunque l’ultima dichiarazione di Kim che pare aver aperto una finestra negoziale con gli americani? Gli analisti occidentali sono concentrati sulle foto diffuse dalla propaganda di Pyongyang, che in questi mesi hanno rivelato molti dettagli sui piani e la capacità militare dell’avversario. È chiaro che le foto sono approvate da Kim e che servono a mandare messaggi.

Nelle ultime di questi giorni di crisi, una grande mappa stesa sul tavolo di Kim evidenzia una linea retta dalla costa nord-orientale della Corea fino a Guam, che passa anche sopra il Giappone: la rotta dei missili, quasi un invito agli americani perché preparino le contromisure. In più, quella linea sembra partire dai cantieri navali di Mayang-do/Sinpo, base dove la sorveglianza satellitare americana ha individuato attività di un sommergibile: potrebbe essere usato per l’ennesimo test di reazione alle manovre Ulchi. Ancora foto satellitari hanno rilevato lavori nell’impianto di Sohae, sito dedicato alla prova dei motori per i vettori. Già, i motori.

Il sospetto è che siano stati realizzati in proprio sulla base di progetti ucraini modello RD250, risalente alla guerra fredda magari con la complicità russa. E non è finita. Sempre l’attenta analisi di quanto reso pubblico dal regime ha spinto gli esperti a ipotizzare che Pyongyang abbia contrabbandato di tutto pur di ottenere la tecnologia necessaria, forse operando in tandem con gli iraniani. In un’altra foto del portfolio propagandistico nordcoreano si vede in secondo piano, appesa alla parete, un’immagine satellitare di Andersen Air Force Base a Guam: sarebbe interessante sapere come se la sono procurata a Pyongyang.

Un’altra foto, del marzo 2016, ha contribuito a convincere l’intelligence americana che i tecnici della Nord Corea hanno davvero miniaturizzato la bomba nucleare per collocarla sulla testata di un missile intercontinentale. Compare Kim di fronte a una sfera metallica: sembrava una sceneggiata all’inizio, ma poi gli esperti militari hanno calcolato che «la palla» (definita «Disco ball») peserebbe poche centinaia di chili, avrebbe un potenziale distruttivo da 20 kilotoni, grosso modo come l’atomica sganciata su Hiroshima. E soprattutto «Disco ball» ha un diametro di 60 centimetri: prova della miniaturizzazione. E quei cavi e quella specie di bocchettone sarebbero l’innesco, non un gioco. Gli storici di Washington hanno anche analizzato il cappottone di Kim Jong-un: copiato sul modello di quello indossato dal nonno Kim Il-sung ai tempi della Guerra di Corea (1950-1953). Un messaggio di autolegittimazione bellicosa del giovane Maresciallo .

FONTE: Guido Olimpio e Guido Santevecchi, CORRIERE DELLA SERA[1]

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  1. CORRIERE DELLA SERA: http://www.corriere.it/

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