Libia, missione italiana, resta vago il mandato

Libia, missione italiana, resta vago il mandato

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Se attaccati dagli scafisti i militari saranno autorizzati a difendersi rispondendo al fuoco, come previsto dal diritto internazionale.Potranno reagire anche se a essere presi di mira sono i mezzi della Guardia costiera libica

Quella che il parlamento si prepara a varare è una missione piena di incognite. E non solo perché la Libia, verso la quale è destinata, dimostra di essere sempre più un Paese instabile, ma anche e forse soprattutto perché a poche ore dal probabile via libera di Camera e Senato sono ancora molte le incertezze sui compiti che dovranno realmente svolgere le nostre navi una volta giunte in acque territoriali libiche.

Oggi i ministri Alfano e Pinotti riferiranno alle Commissioni Esteri e Difesa riunite sugli obiettivi della missione, senza però scendere in particolari che ancora non sarebbero stati definiti. Di sicuro, come ha tenuto a precisare ancora una volta ieri il premier Paolo Gentiloni, è che quella che si prepara a partire verso il paese nordafricano «non sarà l’invincibile armata, ma una missione di supporto alle autorità libiche nel controllo dei loro confini marittimi». E lo stesso premier non ha fatto mistero di come l’operazione presenti ancora molte incognite.

Tutto, infatti è ancora in alto mare. Una volta ottenuto il via libera del parlamento, funzionari del ministero della Difesa incontreranno i colleghi libici con i quali metteranno a punto, «secondo le loro esigenze», le future regole di ingaggio. Serviranno dai due giorni a una settimana al massimo dopo di che la missione, che ufficialmente prende avvio oggi, potrà davvero cominciare.

Ma per fare cosa? Fino a ieri sera le cose sicure erano davvero poche: solo due. La prima: alla missione prenderanno parte due navi, che verranno scelte nei prossimi giorni. La seconda: se attaccati dagli scafisti (o da chiunque altro non veda di buon occhio la presenza italiana in acque libiche) i militari saranno autorizzati a difendersi rispondendo al fuoco, come previsto dal diritto internazionale. Con un particolare in più: potranno reagire anche se a essere presi di mira sono i mezzi della Guardia costiera libica e non direttamente le nostre navi.

Su tutto il resto per ora si naviga a vista. In particolare su come le nostre navi (che previa autorizzazione del parlamento italiano e delle autorità libiche potranno gettare l’ancora nel porto di Tripoli) dovranno comportarsi quando si troveranno di fronte un barcone carico di migranti. Qui infatti le cose si complicano, perché la linea tra ciò che è legale e ciò che invece rischia di essere illegale è sottilissima. Nel caso l’imbarcazione stia affondando la legge impone il salvataggio e quindi il trasferimento dei naufraghi a bordo. A questo punto, però, sempre per legge i migranti devono trasferiti in Italia, tanto più se qualcuno di loro dovesse fare richiesta di asilo. Una volta a bordo, restituirli ai libici sarebbe vietato visto che l’azione si configurerebbe come un respingimento, pratica per la quale l’Italia è già stata condannata nel 2012 dalla Corte di Strasburgo.

L’escamotage, la possibile soluzione al problema, starebbe quindi nella scelta di definire quanto faranno le navi italiane come una missione di «supporto» ai libici, cosa che probabilmente si tradurrà nel dover solo affiancare le motovedette di Tripoli durante le operazioni di recupero dei barconi.

Ora il governo dovrà cercare in parlamento i voti per il via libera alla missione. L’esito appare scontato con un voto che non potrebbe essere più trasversale. A favore si sono già detti infatti Pd, Ap, Forza Italia e FdI. Anche la Lega dovrebbe votare a favore mentre Mdp e M5S decideranno dopo le comunicazioni dei ministri. Apertamente contraria, finora, solo Sinistra italiana.

FONTE: Carlo Lania, IL MANIFESTO



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