Terremoto, un anno dopo. Comunità svuotate, restano le macerie

Terremoto, un anno dopo. Comunità svuotate, restano le macerie

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AMATRICE. La rabbia come conseguenza della disperazione. La stanchezza per un dramma che non finisce: un anno fa esatto, alle 3 e 36 del mattino, il terremoto ha spazzato via i paesi dell’Appennino tra Lazio, Umbria, Abruzzo e Marche, oggi si ricorda quando la vita si è spezzata, con la morte di 299 persone e gli edifici che si sono accartocciati su se stessi, squassati da una botta da 6 gradi sulla scala Richter.

Le persone sono stanche e cercano risposte. Il fronte istituzionale, al contrario, non è mai apparso così incerto, debole, impotente: rispetto al 24 agosto del 2016, sono cambiati gli attori sul palcoscenico ma il copione resta sempre lo stesso, lentissimo nell’affrontare l’emergenza, timido nell’offrire soluzioni convincenti. Al governo allora c’era Matteo Renzi e oggi c’è Paolo Gentiloni, a capo della protezione civile c’era Fabrizio Curcio e oggi c’è Angelo Borrelli, persino il commissario alla ricostruzione Vasco Errani sta per abbandonare il proprio posto, e non si sa ancora se e come verrà sostituito. Solo i vertici delle Regioni sono rimasti uguali, e infatti sono i principali accusati per una gestione che dire deficitaria è poco.

Amatrice, Arquata del Tronto, Accumoli, anno uno. I dati ufficiali parlano del 9% di macerie raccolte, di poco più di 600 casette provvisorie consegnate su 3.700, del 51% di edifici pubblici inagibili, di 37mila cittadini che usufruiscono del contributo statale per l’affitto e di 6.800 persone ancora alloggiate in albergo.

A tenere banco, al momento, è soprattutto il tema dell’addio di Errani, i sindaci del cratere battono soprattutto su questo punto, e lo spettro sembra essere quello dell’aumento del potere delle Regioni.

«Il loro ruolo va ridimensionato, non potenziato – sbotta il sindaco di Arquata, Aleandro Petrucci (lista civica) -. Qui ci vuole un commissario a tempo pieno e al di sopra delle parti, se così non dovesse essere, sarò il primo a gridare allo scandalo. Nelle Marche abbiamo politici che non guardano alla gravità del terremoto, hanno altro a cui pensare». Anche il primo cittadino di Ascoli, Guido Castelli (Forza Italia), attacca la Regione Marche: «Ceriscioli (il governatore Pd, ndr) non può fare il commissario, né possono nominare Giulio Silenzi (già presidente della Provincia di Macerata, attivo durante il sisma del 1997 e ora in odore di nuovo incarico da parte dell’amministrazione, ndr): sarebbe un riciclaggio politico, uno schiaffo alla tragedia del sisma».

Il governatore marchigiano, dal canto suo, prova a rilanciare: «Riporteremo la vita in montagna, ricostruiremo le comunità, daremo una prospettiva a chi oggi ha 20 anni e magari pensa di andare via». La situazione, però, è complessa, come spiega lo stesso Ceriscioli: «Abbiamo avuto il sisma e i morti del 24 agosto, altre scosse molto forti a ottobre e a gennaio cinque eventi in sequenza con la neve. Le abbiamo prese tutte, un terzo del territorio regionale è stato colpito duramente». La pazienza delle popolazioni colpite è ormai agli sgoccioli e il fatto che quasi tutti stiano ancora lontani da casa comincia ad essere qualcosa di inaccettabile. La sensazione è che questo primo anniversario del terremoto sancisca anche la fine della tregua tra istituzioni e cittadini: ultime commemorazioni, ultime parole di cordoglio, ultime visite istituzionali, poi bisognerà cominciare a dare risposte serie e precise.

Dare la colpa all’eccessiva mole di burocrazia, come pure si è fatto a più riprese, ormai non basta più: tra i comitati in molti parlano di «strategia dell’abbandono», cioè di mancanza di volontà politica sul tema della ripopolazione della montagna. Qui la zona era già in crisi demografica da prima del terremoto, adesso la paura è quella di scomparire per sempre come comunità. È questo il motivo principale per cui bisogna fare presto con le casette e con la ricostruzione: non un capriccio, ma la necessità di un’esistenza.

Ad Amatrice, il sindaco Sergio Pirozzi ha deciso di sotterrare per un giorno l’ascia di guerra e di proclamare per la sua città una «Giornata del silenzio in ricordo delle vittime del terremoto». Bandiere a mezz’asta, negozi chiusi per mezza mattinata e l’invito ai media di spegnere le telecamere almeno per qualche ora, in segno di rispetto. Il tema della speculazione sul dolore delle persone colpite dal sisma è molto caro a Pirozzi, tanto che ha disseminato Amatrice di cartelli che invitano a non farsi selfie con le macerie alle spalle.

La soluzione arriverebbe facilmente se qualcuno si decidesse a toglierle, quelle macerie. Invece la zona rossa del paese è tale e quale a com’era un anno fa. E se il governatore del Lazio Luca Zingaretti spera per l’anno prossimo di trovare «cantieri al lavoro», ad oggi la distruzione resta lo sfondo di ogni panorama amatriciano. Un deserto di polvere e pietre, case squarciate, strade crepate. E un futuro che sembra non cominciare mai.

FONTE: Mario Di Vito, IL MANIFESTO



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