Fortezza USA. Lo straniero, le paure globali e i muri

by FEDERICO RAMPINI | 6 Settembre 2017 10:12

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DONALD TRUMP spezza brutalmente il Sogno Americano dei Dreamers, immigrati da bambini e quindi “incolpevoli” anche per la violazione della legge. Barack Obama esce dal suo silenzio per condannare questa decisione «contraria allo spirito dell’America, e al buonsenso». Ma Trump mantiene una promessa che è il cuore del suo contratto con gli elettori. Non si ferma l’onda lunga anti-globalizzazione, malgrado i ripetuti infortuni di questa presidenza anomala e perfino grottesca. Il mondo dei Muri, la ricerca di un capro espiatorio di fronte al disagio sociale: è tutto ancora in mezzo a noi, più attuale che mai. Da Brexit alle resistenze italiane sullo Ius soli, un filo robusto tiene insieme questi eventi. Qualcuno si era illuso che la vittoria di Macron in Francia, la solidità della Merkel in Germania fossero segnali della fine di un ciclo, l’inversione di tendenza rispetto all’avanzata dei populismi. Ma la Germania di oggi è più chiusa di quella del 2015, la Merkel si è rafforzata accogliendo alcune istanze dei suoi avversari, i nemici della frontiere aperte.

La vicenda Dreamers colpisce per la sua assurdità, certo. Sono 800.000 giovani senza permesso di residenza e di lavoro, ma arrivarono in America da piccoli e questa è la loro unica patria. Quando Obama gli offrì una procedura per la regolarizzazione fece una cosa di buonsenso, appunto: approvata anche da alcuni repubblicani moderati. E’ complicato oltre che disumano, espellerli e deportarli: hanno perso i legami col paese d’origine dei genitori. Molti si sono inseriti, non a caso esponenti dell’economia come Tim Cook (Apple) e Mark Zuckerberg (Facebook) li difendono: ne hanno assunti parecchi soprattutto in quegli Stati progressisti, dalla California e New York, dove vigono da anni sanatorie di fatto. Non meno assurdo fu il voto anti-immigrati della Gran Bretagna (la vera ragione del successo di Brexit), la campagna contro “l’invasione di operai polacchi e rumeni”, in un paese la cui economia ha prosperato grazie all’iniezione di forze nuove e talenti dall’estero. In quanto al dibattito sullo Ius soli in Italia, è stato amalgamato in modo insensato col tema dei profughi, ai quali non si applicherebbe una riforma riservata a chi è nato nel paese. Allora come sciogliere la matassa delle incogruenze, incoerenze e contraddizioni? Il dramma dei Dreamers ricacciati nell’illegalità aiuta a capire. Nell’elettorato nazionalista e popolare della destra americana le vere paure erano chiare molto prima di Trump. Con 11 milioni di immigrati privi di Green Card o di visti, c’è sempre stato il timore di un’amnistia generalizzata. Non era quella la riforma di Obama, assai circoscritta. Però fu vista come il primo colpo al principio di legalità. Tema su cui i comizi di qualunque repubblicano strappano ovazioni: se hanno violato la legge e li perdoniamo, dove finisce lo Stato di diritto? E ancora: facciamo un torto a tanti altri stranieri che hanno seguito le vie regolari. E infine: perdiamo il controllo sui nostri confini, che Stato siamo senza l’autorità di decidere chi può entrare e chi no? A questo si sovrappone il tema della sicurezza, alimentato dal terrorismo islamico ma non solo: insieme coi disperati che arrivano da paesi dell’America centrale ove regna la violenza, c’è anche un fenomeno di gang spietate, da Long Island (New York) a Oakland (San Francisco). Tutto si coagula nella questione dell’identità. “Chi siamo noi?”, si chiedeva già Samuel Huntington – il teorico dello scontro di civiltà – riflettendo su un modello etico-valoriale di origine anglosassone e protestante, diluito dagli arrivi. E’ diventato un simbolo di estraniazione il ritornello di risposta automatica dei centralini telefonici che chiedono all’utente di “schiacciare il pulsante uno per l’inglese, due per lo spagnolo”.
I Muri, le fiammate di ostilità verso l’Altro, non sono una risposta e l’economia americana precipiterebbe in una crisi se dovessero scomparire gli 11 milioni di clandestini, privando di manodopera l’agricoltura e l’edilizia, il turismo e l’assistenza ai malati. Ma se l’onda lunga non accenna a ritirarsi, è anche perché il fronte globalista – la sinistra politica più l’establishment economico – ha sottovalutato problemi reali o non ha dato risposte adeguate. Un quarto di secolo di globalizzazione si salda con l’impoverimento della classe operaia e del ceto medio. La concorrenza degli immigrati sul mercato del lavoro esiste ed esercita una pressione al ribasso sui salari della popolazione locale (da Karl Marx in poi, questo fu un tema di sinistra). Quei ceti più deboli che occupano i mestieri meno qualificati e si trovano in competizione con gli stranieri sono anche quelli che vivono negli stessi quartieri, negli stessi caseggiati popolari. Soffrono di più per la criminalità o per un diffuso senso di disordine. Si sentono “estranei a casa propria o stranieri in patria” (titolo di un saggio illuminante sui bianchi poveri che hanno eletto Trump) perché a loro si chiede di sopportare il massimo sforzo d’integrazione, il senso d’insicurezza. Resterà come un capolavoro negativo la campagna elettorale di Hillary Clinton che parlava a tutte le minoranze, salvo che all’operaio bianco declassato e disprezzato per il suo universo valoriale “retrogrado”. Quella campagna disegnava un’America governata da una coalizione di “tutti gli altri”; e i bianchi si sono vendicati eleggendo un estremista. Tanti repubblicani conoscono dei Dreamers, li hanno visti giocare coi propri figli, e alcuni si metteranno una mano sulla coscienza. Ma la sinistra deve trovare un linguaggio sull’immigrazione che non irrida alle paure legittime.

Fonte: FEDERICO RAMPINI, LA REPUBBLICA[1]

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  1. LA REPUBBLICA: http://www.repubblica.it/

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