Ancora un raid aereo israeliano in Siria, guerra più vicina

Ancora un raid aereo israeliano in Siria, guerra più vicina

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L’attacco a dieci anni esatti dal raid contro un presunto centro di produzioni nucleari ad al Kibar. L’esercito siriano minaccia “ripercussioni”

Non è stato un bombardamento come i precedenti, uno dei cento raid che Israele per sua recente ammissione ha fatto in Siria dal 2011 in poi, quello compiuto alle primissime ore di ieri dall’aviazione con la stella di David contro un impianto militare nei pressi di Masyaf (Hama), uccidendo almeno due persone e provocando gravi danni alla struttura. Israele avrebbe colpito anche presunti convogli che trasportavano armamenti per il movimento sciita libanese Hezbollah alleato della Siria nella lotta contro i miliziani jihadisti. La data e il sito scelto per l’attacco hanno un significato particolare. Esattamente dieci anni fa otto caccia F-16 israeliani, con la benedizione dell’Amministrazione Bush e, si disse, con l’aiuto sul terreno di un commando giunto in quella zona il giorno prima, trasformarono in un cumulo di macerie ad al Kibar, nella provincia di Deir Ezzor, un edificio in costruzione che, secondo il premier di allora, Ehud Olmert, era destinato ad accogliere un centro per la produzione di armi atomiche.

Come Olmert nel 2007 anche il primo ministro in carica Benyamin Netanyahu non ha rivendicato l’attacco aereo, lasciando che i media locali attribuissero comunque a Israele la paternità del raid contro quello che è stato definito un centro per la “ricerca e produzione di armi chimiche”, proprio poche ore dopo che una commissione d’indagine dell’Onu aveva attribuito alle forze aeree siriane un bombardamento con gas sarin a Khan Sheikhun, lo scorso aprile. Gli interrogativi non sono pochi. Damasco non si era liberata del suo arsenale chimico sulla base dell’accordo mediato da Mosca che quattro anni fa fermò all’ultimo istante attacco militare americano contro la Siria? Possibile che la Russia, garante di quell’accordo, abbia consentito ai siriani di produrre armi chimiche in un centro ricerche molto noto e in funzione da anni, rischiando essa stessa forti ripercussioni internazionali? Se il sito distrutto è davvero lo “Scientific Researchers Center”, branca di agenzia governativa siriana accusata dagli Stati Uniti di produrre armi chimiche, perché Washington non l’ha colpito prima con i suoi bombardieri che volano nei cieli della Siria? Non certo per timore di una reazione della Russia se si considera che la scorsa primavera Donald Trump ha ordinato il lancio di 40 missili contro una base militare siriana.

I comandi militari siriani hanno ammesso l’attacco subito contro, hanno detto, un «impianto militare», descrivendolo come un «tentativo disperato di sollevare il morale dello Stato islamico dopo le schiaccianti vittorie dell’esercito siriano». E hanno messo in guardia che l’accaduto avrà «gravi ripercussioni» lasciando intendere che Damasco potrebbe reagire attaccando a sua volta Israele. Nello stesso Stato ebraico non tutti gli esperti militari concordano sulle attività del centro di Maysaf. Un ex capo dell’intelligence militare israeliana, Amos Yadlin, ha scritto su Twitter che la struttura colpita «produce anche armi chimiche e barili esplosivi», aggiungendo che il raid ha mandato il messaggio che Israele non lascerà che la Siria produca armi strategiche. Invece il generale Yaakov, Amidror, consigliere per la Sicurezza nazionale di Israele, sembra privilegiare la tesi che l’aviazione abbia distrutto il sito, dove si produrrebbero anche missili, dopo aver raccolto informazioni sul passaggio della sua gestione all’Iran e a Hezbollah, stretti alleati del presidente siriano Bashar Assad.

Proprio il movimento sciita è sempre più nel mirino di Israele che, questa settimana, ha avviato ampie esercitazioni militari al confine con il Libano dimostrando di essere pronto per un conflitto sempre più vicino. Ieri il presidente israeliano Rivlin, incontrando a Berlino Angela Merkel, ha affermato che le infrastrutture per la produzione di armi da parte del movimento sciita costringeranno Israele a reagire e ha invitato la cancelliera tedesca a riconoscere «la minaccia posta da Hezbollah al confine settentrionale di Israele». Tel Aviv ripete che Hezbollah disporrebbe di circa 100mila razzi ed è ora organizzato in battaglioni e brigate con circa 40mila combattenti ben addestrati ed armati.

Sulla questione dell’arsenale missilistico di Hezbollah una settimana fa è intervenuto il premier libanese Saad Hariri, che pure è un avversario del movimento sciita e di Assad, per affermare in un’intervista rilasciata al quotidiano francese Le Monde che Israele sa bene che in Libano non vi è alcuna fabbrica per la produzione di missili. Gli israeliani, ha aggiunto Hariri, «dicono che Hezbollah controlla in Libano, ma non è vero. Hezbollah esiste, è al governo, ha un sostegno nel paese ma questo non vuol dire che tutto il Libano è controllato da Hezbollah». Invece Netanyanu afferma che Tehran vorrebbe trasformare la Siria in «una base militare di appoggio nel suo obiettivo dichiarato di sradicare Israele è per questo scopo sta costruendo siti di produzione di missili di precisione in Siria e in Libano».

FONTE: Michele Giorgio, IL MANIFESTO



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