Infortuni. Molti moduli, pochi controlli: in Italia non si fa prevenzione
Con 160 mila verifiche l’anno la maggioranza delle aziende sa che non verrà mai controllata Un piccolo artigiano deve presentare nove certificati ma una pila di carte non significa più sicurezza
Controlli esercitati in condominio da almeno sei organi pubblici, vigilanza affidata più agli adempimenti burocratici che ai sopralluoghi, piccole imprese schiacciate da una massa di obblighi cartacei. Il modo in cui l’Italia affronta il problema della sicurezza e della salute sul lavoro per prevenire l’ormai incomprimibile strage infortunistica, che nei primi sette mesi dell’anno ha visto tornare a crescere il numero dei morti, ha qualcosa di kafkiano. Alla fine è più importante controllare che sia stato riempito qualche modulo, che verificare se un cantiere abbia sistemi di protezione contro le cadute dall’alto. O proiettare quattro slide in un’aula tanto per certificare che si è fatta della formazione, piuttosto che organizzare veri corsi tra le catene di montaggio o nei cantieri.
Non che tra gli ispettori delle Asl e del ministero del Lavoro manchino competenze. Tutt’altro. Ma se alla scarsità dei fondi per intensificare i loro controlli e agli insufficienti investimenti per la prevenzione, aggiungiamo la farraginosità delle regole un vero e proprio caos – comprendiamo perché la politica anti-infortunistica italiana resti ancora indietro. L’ascensore dell’ufficio è omologato dalla Asl, il ponteggio è collaudato dall’Ispettorato del Lavoro, i montacarichi sono di competenza dell’Ispesl, l’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro. Sono solo alcuni esempi di come le competenze siano frantumate. Così come i controlli. Se fosse passata la riforma costituzionale, il tema della sicurezza sarebbe tornato in capo allo Stato, e ora la sua vigilanza sarebbe probabilmente gestita dal nuovo Ispettorato nazionale del lavoro, ossia da un unico organo pubblico. Invece Stato e Regioni continueranno a rimpallarsi le competenze. Attualmente, al vertice di questa piramide ci sono le Asl, senza limitazioni di settore. Ma poi subito dopo troviamo le Direzioni territoriali del ministero del Lavoro, i cui ispettori sono chiamati a intervenire nei cantieri, sui cassoni e in tutte le attività che comportano rischi elevati, individuati da una commissione consultiva permanente. Ma non è finita, perché quando si richiede una competenza specifica si ricorre all’Inail, l’Istituto nazionale di assicurazione contro gli infortuni. E ancora: per il settore minerario entra in scena il ministero dello Sviluppo economico, mentre per le industrie estrattive di seconda categoria intervengono le Regioni. A controllare infine le norme anti-incendio arrivano i Vigili del Fuoco. Ci si aspetterebbero almeno poche e chiare linee guida. C’è chi ne ha contate ottantasei, alcune contraddittorie tra loro. Così si moltiplicano anche gli obblighi cartacei per le aziende, grandi e piccole. La Cgia di Mestre ha provato a mettere in fila gli adempimenti burocratici che in materia di sicurezza e salute deve rispettare un artigiano. Un falegname verniciatore che insieme a un socio apre un’attività, nei primi 5 anni deve redigere (in alcuni casi due volte) nove documenti: valutazione dei rischi in generale, valutazione polveri di legno, rischio chimico, rumore e vibrazioni, stress, rischio incendio, scariche in atmosfera, rischio campi elettromagnetici, rischio esplosione e movimentazione carichi. Inoltre uno dei due soci deve partecipare al corso per responsabile servizio di prevenzione e protezione, al corso primo soccorso e al corso anti-incendio. L’altro è chiamato a partecipare a sessioni di formazione generale, specifica e di aggiornamento. La domanda che si pongono gli artigiani è ovvia: basta ingigantire la mole di documenti per assicurare che alle carte corrispondano più controlli reali?
Con questo non si vuole dire che i controlli reali non ci siano. Nei decenni scorsi hanno contribuito ad abbassare i numeri della strage. Ma oggi sono sufficienti? Sono qualitativamente efficaci? Con circa 160 mila ispezioni l’anno, la stragrande maggioranza delle aziende italiane ha la ragionevole speranza che non verrà mai visitata, specie al Sud. Gli ispettori delle Asl con qualifica di polizia giudiziaria (quindi in grado di fare indagini e imporre prescrizioni) sono 2.800. Anche aggiungendo 300 ispettori tecnici del Lavoro e 400 carabinieri, non si raggiunge una massa critica sufficiente. Quando si tornerà a investire?
Fonte: MARCO RUFFOLO, LA REPUBBLICA
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