Tassa Gafa: piccoli passi contro i giganti di Internet
Unione europea. È possibile tassare l’economia dematerializzata dei giganti di Internet? Come evitare l’ottimizzazione fiscale nella Ue?
Il miraggio di una nuova tassazione dei giganti di Internet in Europa si concretizza poco per volta: al Consiglio europeo di Tallinn, sono ormai 20 paesi ad essere d’accordo. I più grossi (Francia, Italia, Germania, Spagna) e i piccoli che non sono «paradisi digitali» (è la terminologia della Commissione, per non dire «paradisi fiscali») già calcolano quanti soldi potrebbero incassare e cosi’ attenuare gli effetti dell’austerità e le derive politiche che questa sta generando un po’ dappertutto.
Come far pagare i colossi di Internet nella Ue? Sul tavolo, ci sono due strade: tassare il fatturato paese per paese e la vecchia idea di imporre un tasso generico (incassato dal paese membro dove la società ha sede, e poi redistribuito agli altri). Il risultato di Tallinn è un incrocio tra le due, senza distruggere il processo Accis, che mira a stabilire una base comune nella Ue per l’imposta sulle società, idea rilanciata dopo lo scandalo dei Panama Papers.Ieri i capi di stato e di governo (mancava Mariano Rajoy, restato in Spagna a causa del referendum catalano) hanno fatto passi avanti sull’ipotesi di una «tassa Gafa» (dalle iniziali dei colossi Google, Apple, Facebook, Amazon) nella Ue: una tassa non sugli utili, che oggi vengono spostati verso i paradisi fiscali grazie alle tecniche di ottimizzazione fiscale, ma sul fatturato, più controllabile, realizzato paese per paese. La proposta viene dalla Francia, il presidente Macron ha combinato le due linee sul tavolo, una tassa di base a livello Ue più un’imposizione sul fatturato, paese per paese. Otto stati continuano ad esprimere riserve, in particolare l’Irlanda che è decisamente ostile. La Commissione promette «proposte» per l’inizio del 2018. «È l’interesse generale» ha affermato Macron. È stata giocata la carta della «cooperazione rafforzata» applicata alla tassa Gafa (Francia, Germania, Italia, Spagna più un gruppo di piccoli paesi) per dare uno scossone al lento cammino verso il miraggio dell’armonizzazione fiscale, misura che continua a sfuggire visto che non solo sul fisco ci vuole l’unanimità ma anche per passare alla maggioranza qualificata nelle questioni fiscali ci vuole sempre l’unanimità: un gruppo si è posto come avanguardia e poi altri hanno seguito (la Commissione puo’ fare pressione, gli stati possono andare verso l’armonizzazione delle tasse sulle società).
Oggi i sistemi fiscali appartengono ancora al vecchio mondo, la tassa è legata all’attività radicata in un luogo preciso. Cosi’ il modello di scambi dematerializzato della nuova economia riesce a sfuggire, aiutato del resto dalla presenza di paradisi fiscali.
Per esempio, la Francia ha perso contro Google, a cui reclamava 1,1 miliardi di tasse non pagate perché non ha potuto stabilire che l’attività era radicata in un luogo preciso. Altro esempio: la Commissione aveva chiesto all’Irlanda di reclamare 13 miliardi di euro di tasse non pagate da Apple, ma Dublino ha preferito rinunciare per non far scappare la multinazionale. Le (poche) tasse pagate da questi giganti hanno poco a che vedere con il livello di attività a livello di stati: per esempio, nel 2015, Google ha dichiarato 22 miliardi di utili in Irlanda (dove ci sono 5 milioni di utilizzatori Internet) e meno di un miliardo in Germania (70 milioni di utilizzatori). Airbnb nel 2016 ha pagato solo 92.944 euro di tasse in Francia, mentre la Francia è il secondo paese (dopo gli Usa) per l’attività di questo gruppo.
Secondo la Commissione, un mercato unico digitale che comprenda la tassazione potrebbe generare 415 miliardi di euro l’anno e migliaia di posti di lavoro. Secondo uno studio realizzato dall’eurodeputato Paul Tang, l’Ue ha perso 5,4 miliardi di tasse dal 2013 al 2015, da parte dei giganti dell’Internet. Ma i giganti dell’Internet non restano con le mani in mano per evitare una svolta europea e fanno un inteso lavoro di lobbying a Bruxelles: nel 2015 Google e Microsoft hanno speso 4,5 milioni di lobbying e dal registro della trasparenza delle lobbies risultano 146 incontri con dei commissari europei dal 2014 a oggi per Google, 82 per Microsoft, 63 per Facebook.
FONTE: Anna Maria Merlo, IL MANIFESTO
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