Mentre l’Afd festeggia l’ingresso nel Parlamento tedesco, c’è chi prepara già la scissione

by TONIA MASTROBUONI | 25 Settembre 2017 16:25

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BERLINO. «Andate a lavorare!». Dal primo piano di un grigio edificio di Alexanderplatz, militanti dell’Afd osservano ridendo una ventina di manifestanti che si stanno raccogliendo sotto, davanti al blindatissimo ingresso presidiato da camionette della polizia e agenti antisommossa dalle prime ore del pomeriggio. Siamo in un locale vagamente trash dai colori sparati e i divanetti in pelle, “Traffic”, uno dei pochi a Berlino che si è detto disponibile ad affittare ai populisti di destra. Tanto che il partito aveva cercato di tenere riservato il posto della festa elettorale fino a poche ore prima della chiusura dei seggi. Ma la voce si è sparsa velocemente e in serata, la manifestazione di protesta è diventata sempre più imponente. Una signora che tiene in alto una bandiera delle brigate antifasciste della guerra civile spagnola, ha raccontato a un giornale berlinese che «mio padre ha combattuto contro questi, e io continuo la sua lotta».

Intanto, dal terrazzo di “Traffic”, un tizio alza il boccale di birra provocatoriamente in direzione degli slogan antifascisti che arrivano dalla strada, “prost!”. Pochi minuti prima, le prime proiezioni hanno confermato i pronostici. L’Afd entra nel Bundestag con un incredibile 13%, per la prima volta dalla fine della guerra un partito a destra dei cristianodemocratici conquista seggi in un parlamento storico, quello che Hitler incendiò per dare la colpa ai comunisti.
Ma tra le file dei militanti raccolti nel locale, l’euforia lascia già lo spazio a un filo di ansia. Come un fuoco si sta già diffondendo una voce che fa tremare tutti, dopo il trionfo storico: scissione. E la principale indiziata è Frauke Petry, la leader che negli ultimi mesi è stata sempre più marginalizzata per aver cercato di scongiurare la radicalizzazione a destra del partito. Potrebbe fondare un nuovo partito insieme al marito, Marcus Pretzell, secondo indiscrezioni. Gli indizi di una spaccatura grave non mancano: mercoledì doveva fare un comizio a Goerlitz, all’ultimo momento ha disdetto per «dissapori con il partito». E in una recente intervista ha definito le esternazioni di alcuni colleghi di partito in odore di estremismo «uno scandalo».
Gunnar Linnemann è stato eletto l’anno scorso alle elezioni regionali di Berlino in un quartiere difficile di Berlino, Marzahn/ Hellersdorf (la capitale fa Land a sé). Tra una sigaretta e l’altra ci sussurra che «è il momento di stare insieme, di non cedere alla tentazione di scissioni. Ma io ho paura che perderemo qualcuno per strada, come accadde qui a Berlino con Kai Nerstheimer…”» Per Linnemann il partito deve anche «cercare di tenere insieme l’ala più liberale e quella più nazionalista», in soldoni Alice Weidel e l’ala cosiddetta ‘voelkisch’, dove però non mancano ambiguità verso la ferita più atroce della storia tedesca, il nazismo. Ma Linnemann garantisce che «l’Afd non è un partito antisemita». Per lui che è stato eletto in un quartiere di casermoni della Ddr, è chiaro che la priorità è «la questione dei profughi: mi devono spiegare perché continuano a mantenere aperti centri di accoglienza nel nostro quartiere, mentre da quello residenziale e borghese di Zehlendorf sono spariti tutti».
All’interno del locale, lontano dai cori degli antifascisti che echeggiano dalla strada, la festa è euforica. Quando sul grande maxichermo, poco dopo le sei di pomeriggio, è apparso il 13% in blu, il colore del partito, dai sostenitori si è levato un boato, poi è partito un coro – «Afd, Afd» – e l’inno nazionale tedesco. Fortunatamente, senza la prima strofa nazi. Quella che qualcuno dei candidati ha ammesso candidamente di cantare, in famiglia.

Fonte: TONIA MASTROBUONI, LA REPUBBLICA[1]

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  1. LA REPUBBLICA: http://www.repubblica.it/

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