Malato psichico suicida a Regina Coeli, la procura incolpa i poliziotti

Due notizie in una che danno il polso della triste condizione in cui versa ancora, malgrado le riforme, l’universo carcerario italiano. La prima risale al febbraio scorso, quando un ragazzo di 22 anni con gravi problemi psichici, Valerio Guerrieri, si è suicidato nella sua cella di Regina Coeli, dove sono «ancora sette gli internati trattenuti illegittimamente», come denuncia Stefano Anastasìa, Garante dei detenuti del Lazio. La seconda è di ieri e arriva dalla procura di Roma che ha rinviato a giudizio due poliziotti penitenziari del carcere romano «rei di aver tardato di sette minuti il controllo di Valerio, considerato soggetto a rischio suicidario», come spiega ancora Anastasìa.
Una «montagna che ha partorito il topolino», commenta il Garante che considera «troppo facile accantonare lo scandalo delle detenzioni illegittime dei malati di mente, che avrebbero bisogno di accoglienza e cura sul territorio. In questo modo – aggiunge Anastasìa – non si farà altro che incentivare atteggiamenti difensivi del personale sanitario e di polizia penitenziaria, costretto a scaricarsi della responsabilità di un eventuale suicidio in carcere».
La madre di Valerio Guerrieri a febbraio si rivolse all’associazione Antigone che ora comprensibilmente non gioisce affatto di questo rinvio a giudizio. «Valerio aveva problemi di carattere psichiatrico, per questo era stato ricoverato in una Rems (strutture riabilitative per malati psichiatrici che hanno preso il posto degli Ospedali psichiatrici, ndr) dal quale era scappato – riferisce Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione – Persone come lui non si possono curare dietro le sbarre, le si cura affidandole al sostegno medico, sociale, psicologico dei servizi».
Antigone si augura ora che con l’inchiesta «non si vada alla ricerca di capri espiatori e che tutto si risolva in una questione di mancata sorveglianza». C’è invece solo da «capire perché il ragazzo fosse in carcere e se vi fossero tutti i titoli per trattenerlo in custodia». «Non è con un controllo esasperato, né privando i detenuti di magliette, cinte o lenzuola che si può risolvere la questione suicidi – sottolinea Gonnella – Il rischio, anzi, è quello di rendere la vita del detenuto ancora più faticosa e difficile di quella che già è».
Purtroppo il numero dei suicidi in cella è impressionante: 44 dall’inizio dell’anno, secondo Ristretti orizzonti. Il sindacato di Polizia Penitenziaria denuncia «la vergogna dei braccialetti elettronici costati 110 milioni di euro e con un utilizzo di qualche decina di dispositivi dal 2000 al 2010». Mentre il senatore Lucio Barani (Ala) coglie l’occasione delle «condizioni vergognose in cui versano i penitenziari» per rilanciare oggi con una conferenza stampa l’inutile business dell’edilizia carceraria.
FONTE: Eleonora Martini, IL MANIFESTO
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Ci sono voluti alcuni decenni, ma finalmente gli Stati Uniti sembrano aver preso atto di una verità che tanti denunciavano inascoltati da anni, mentre il coro mainstream teorizzava invece di “far toccare il fondo” ai tossicodipendenti: la war on drugs ha gonfiato le carceri di poveracci e svuotato le casse pubbliche.
Così il procuratore generale Eric Holder ha recentemente annunciato una riforma per ridurre il sovraffollamento delle celle, dove ci sono 140 detenuti ogni 100 posti. Esattamente lo stesso tasso record italiano, dove i numeri sono ancora più tragici, poiché i posti disponibili sono in realtà assai meno dei 47 mila dichiarati ufficialmente, a fronte dei 64.873 detenuti presenti a fine luglio.