L’indipendenza catalana è sospesa. Ma per Madrid è inammissibile

by Luca Tancredi Barone | 11 Ottobre 2017 9:09

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BARCELLONA. «Con i risultati dell’1 ottobre, la Catalogna si è guadagnata il diritto a essere uno stato indipendente». Al culmine di una mezz’ora di discorso, iniziato alle 19.15 nel Parlament di Barcellona, il president catalano Carles Puigdemont ha chiarito quali sono le intenzioni del suo esecutivo. «Assumo il mandato del popolo perché la Catalogna si converta in uno stato indipendente sotto forma di repubblica». Ma propone di sospendere l’effetto di questa dichiarazione «per alcune settimane» per dare il tempo di aprire un dialogo, dato che «ci sono diverse iniziative in corso, pubbliche e non». Non si è trattata di una vera dichiarazione: la legge istitutiva del referendum a cui il Govern dice di inspirarsi, nonostante sia stata sospesa dal Tribunale costituzionale, fissava che fosse la giunta elettorale a dichiarare i risultati e poi il Parlament a votare la dichiarazione d’indipendenza. Ma la giunta elettorale non esiste più, e il Parlamento ieri non ha votato nulla.
IL DISCORSO DEL PRESIDENT, dichiaratamente rivolto soprattutto agli osservatori internazionali, ricostruiva le tappe degli ultimi anni di frustrazione politica degli indipendentisti. Ha aperto dicendo «non vi aspettate, né ricatti, né insulti», cosciente della «necessità di abbassare la tensione e di non contribuire con parole e gesti ad aumentarla», per poi rivendicare di essere riuscito a convocare e celebrare il referendum, anche se in «condizioni estreme». E questo passo, ha ricordato, viene dopo aver cercato di percorrere tutte le vie «costituzionali», attraverso l’approvazione dello Statuto, «ritagliato» dal Tribunal Constitucional dopo esser stato approvato da Parlament, Congresso e un referendum, e dopo aver tentato di chiedere al Congresso la celebrazione di un referendum «per 18 volte».

Da parte del governo spagnolo, solo un «disprezzo che ferisce verso la lingua e la cultura del nostro paese», ha detto Puigdemont. Passando allo spagnolo ha spiegato che «non siamo pazzi, delinquenti e golpisti: siamo gente normale che chiede di poter votare», perché, ha aggiunto «noi non abbiamo nulla contro la Spagna e gli spagnoli, il desiderio maggioritario è di capirsi meglio; la relazione non funziona da anni, non ci capiamo più».

LA «STORICA» SEDUTA – l’aggettivo è il più inflazionato di questi tempi in Catalogna – era iniziata con più di un’ora di ritardo. Non per l’intervento di «attori internazionali» europei, come si era detto dopo l’appello del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, ma per ragioni più prosaiche: la Cup non condivideva il discorso di Puigdemont, come ha chiarito Anna Gabriel nella replica: «Non possiamo sospendere la volontà di 2 milioni di persone», «oggi bisognava proclamare la repubblica catalana, forse abbiamo perso un’occasione».
Inés Arrimadas, di Ciudadanos, ha invece parlato della «cronaca di un golpe annunciato», mentre Miquel Iceta dei socialisti catalani (Psc) ha ricordato al Govern che non possono derivare nessun mandato dal voto del primo ottobre, che non rispetta neppure i parametri delle leggi approvate dallo stesso Parlament: «Una minoranza non può imporsi su una maggioranza» ha detto in varie lingue.

A SORPRESA, A MADRID il gruppo parlamentare di En comú Podem, alleato di Podemos, ha presentato al Congresso una mozione per costringere il Psoe a posizionarsi sulla questione 155 (l’articolo della Costituzione che commissaria l’autonomia). Nella mozione si chiede di respingere «l’applicazione di misure eccezionali che implichino la distruzione dell’autogoverno catalano, come per esempio l’attivazione dell’articolo 155 o decretare lo stato di eccezione». La mozione si chiude con la richiesta di dimissioni di Rajoy per «la sua nefasta gestione della crisi politica catalana, così come per essere il massimo responsabile delle azioni di polizia vissute domenica 1 ottobre». Il Psoe ha deciso di respingerla, ma proprio mentre stava parlando Puigdemont a Barcellona En comú Podem ha ritirato la mozione. I socialisti hanno invece deciso di ritardare la mozione di sfiducia alla vicepresidente del governo Saéz de Santamaría in attesa di ascoltare oggi quello che dirà Rajoy.Durante la giornata di ieri, la maggior parte degli osservatori era d’accordo che la risposta di Madrid sarà dura o molto dura. Ma per il momento i messaggi che ha mandato il governo Rajoy sono confusi: «È inammissibile fare una dichiarazione implicita di indipendenza per poi lasciarla in sospeso esplicitamente», hanno dettato alle agenzie, e «non si può considerare valido quanto accaduto nel Parlament», ha detto il ministro di Giustizia. La reazione ufficiale si saprà oggi.

Delusione fra le migliaia di manifestanti al passeig Lluís Companys che ascoltavano le parole del president: in molti speravano più concretezza e promettono di continuare a difendere il loro voto.

FONTE: Luca Tancredi Barone, IL MANIFESTO[1]

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