A Torino vincono i comitati: l’acqua ritorna pubblica

A Torino vincono i comitati: l’acqua ritorna pubblica

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TORINO. Con solo sei anni di ritardo sull’esito referendario, il Consiglio comunale di Torino delibera che il gestore del servizio idrico, Smat Spa, non può essere una società per azioni con finalità lucrative. Il voto favorevole è stato espresso da M5s, Torino in Comune (Sinistra Italiana) e Direzione Italia. Contrari Partito Democratico, Forza Italia e Lega Nord.

Se questo percorso giungerà a buon esito, Smat verrà trasformata in un’azienda di diritto pubblico: l’acqua di Torino e provincia non produrrà più profitto e non sarà più contendibile sul mercato.
Al momento Smat è un soggetto di diritto privato, il cui azionariato è composto solo da istituzioni pubbliche. «Un meccanismo che funziona, dato che le quote azionarie sono in mano ad enti pubblici, e genera utili che poi vengono investiti» sostiene chi si è opposto alla delibera. «Che però non esclude scalate da parti di privati» risponde chi in questi anni si è battuto perché l’esito referendario fosse applicato alla lettera.
Si tratta quindi di un passo dovuto: Torino è, dopo Napoli, la seconda città in Italia che avvia un percorso per togliere dal mercato l’acqua.

Una scelta maturata in un clima di crescente ostilità da parte di chi sei anni fa era al governo e oggi, dall’opposizione, ha deciso di fare guerra a 27 milioni di cittadini che hanno votato nella convinzione di affermare che l’acqua non è una merce.

Mariangela Rosolen, storica rappresentante della sinistra torinese e italiana, da tempo anima del Comitato Acqua Pubblica Torino, commenta: «E’ solo il primo passo, ma è importante. Questo voto si muove ancora su un piano culturale, dove era fondamentale mantenere la barra diritta nonostante le difficoltà crescenti. Con stupore, e rammarico, devo dire che non è la cosiddetta sinistra di governo a ottenere questo risultato».

Le difficoltà a cui si riferisce Mariangela Rosolen, hanno scandito il burrascoso primo anno a cinque stelle torinese. Nel luglio del 2016, come primo atto, giunse inaspettato il «no» dell’intero gruppo pentastellato alla mozione di Eleonora Artesio, Sinistra italiana, che proponeva quanto ieri è stato approvato. Nei mesi successivi, schiacciata dal debito della città, la sindaca Appendino faceva un passo ancora più duro, pescando soldi tra gli utili di Smat per far quadrare il bilancio. Ovvero quanto il referendum del 2011 voleva vietare: l’estrazione di valore da parte di chiunque. A maggior ragione se questo valore, come nel caso di Torino, deve poi coprire buchi di bilancio scaturenti da tagli agli enti locali e interessi sul debito.

Fu un gesto eclatante quello del M5s, perché contrario a quanto scritto nel programma elettorale. Poi un lento percorso di riavvicinamento, che ha portato la consigliera Daniela Albano a presentare la proposta di delibera. Astrofisica, sindacalista di base, commenta: «Finalmente la Città di Torino si appresta a riempire di contenuti l’articolo 80 del proprio statuto che afferma che la Città si impegna per garantire che la gestione del servizio idrico integrato sia operata senza scopo di lucro».

La tenacia sfinente del Comitato per l’acqua pubblica, nonché un sempre più palese malumore dei vari comitati in città che non tollerano le capriole sul programma, hanno portato ad un ripensamento. Manovra utile, anche, per fare pace con la base, nel momento in cui il sempre gagliardo «Sistema Torino» rialza la testa e indica alla sindaca la porta d’uscita dalle confortevoli stanze del potere.

Lo Statuto di Smat prevede che il 75% dell’azionariato si dichiari favorevole alla trasformazione. Il Comune, anche grazie ad un holding direttamente controllata, detiene il 64% delle azioni. La restante parte è in mano ad altri 290 comuni della cintura riconducibili al Partito Democratico, e quindi scarsamente interessati a portare a buon fine l’operazione. Diverse cittadine, e anche molti piccoli paesi, hanno già espresso la volontà di trasformare Smat.

Ora il consiglio d’amministrazione della Smat riceverà mandato dal Comune di Torino di avviare uno studio di fattibilità, per comprendere in quali termini l’operazione sarà possibile.

FONTE: Maurizio Pagliassotti, IL MANIFESTO



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