Russiagate. Cospiratori e bugiardi: gli uomini di Trump si presentano all’Fbi

Russiagate. Cospiratori e bugiardi: gli uomini di Trump si presentano all’Fbi

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Riciclaggio, evasione e cospirazione tra i dodici capi di imputazione: il super procuratore Mueller procede tramite vicende collaterali al Russiagate. Papadopolous smascherato: aveva mentito ai federali sui tempi delle comunicazioni con Mosca

NEW YORK. Paul Manafort, ex direttore della campagna elettorale di Trump, e il suo partner d’affari ed ex consigliere di Trump, Rick Gates, alle 8 di ieri mattina si sono presentati alla sede dell’Fbi di Washington per consegnarsi ed evitare le manette.

A carico di Manafort ci sono 12 capi di imputazione, nessuno dei quali connesso con l’attività politica: riciclaggio, evasione fiscale, violazione delle regole che disciplinano la professione di lobbista.

Usando questi capi di imputazione, il procuratore Robert Mueller ha confermato le previsioni riguardo la tattica che avrebbe usato: non andare direttamente al cuore del Russiagate (le collusioni tra Mosca e i collaboratori di Trump), ma approcciare vicende collaterali. Secondo analisti e esperti di diritto americani anche l’accusa di «cospirazione contro gli Usa fino al 2017» va inserita in un contesto di violazioni tributarie.

Ciò non alleggerisce la posizione di Manafort, da anni nel mirino dei servizi segreti americani a causa dei suoi rapporti con Putin e il presidente ucraino filo-russo Viktor Yanukovych, defenestrato nel 2014 durante la rivolta di Maidan.

Ciò che l’Fbi contesta a Manafort e Gates sono violazioni commesse dal 2005 al 2010-2011, con strascichi fino al 2017. L’epicentro dovrebbe essere la dichiarazione fiscale di Manafort del 2010-2011 e i rapporti tra Manafort e Gates con Yanukovych e gli imprenditori russi che gestivano l’economia del Paese.

Nei documenti che motivano l’incriminazione di Manafort e Gates si legge che «Manafort ha usato una fortuna nascosta oltreoceano per mantenere uno stile di vita di lusso negli Stati uniti, senza pagare tasse su quel reddito. A questo scopo sia Manafort che Gates hanno mentito ripetutamente al fisco».

I due, ieri, davanti alla corte federale di Washington che ha formalizzato l’incriminazione, si sono dichiarati non colpevoli. Da ieri sono agli arresti domiciliari, dopo cauzioni da 10 e 5 miliardi di dollari.

Manafort, tra tutti i collaboratori di Trump coinvolti nel Russiagate, era considerato il più vulnerabile dal punto di vista legale: era stato licenziato dopo la convention repubblicana di Cleveland, quando erano emersi i primi indizi sui suoi rapporti con i russi, inclusa una consulenza da 12 milioni di dollari per Yanukovych. A fine luglio la sua abitazione in Virginia era stata perquisita dall’Fbi, con un blitz all’alba.

Manafort non si è mai sottratto e ha sempre collaborato con le autorità, ma nonostante ciò sia lui che Gates hanno collaborato informalmente con Trump fino a poco tempo fa.

Una delle ragioni per cui la sua posizione è molto rilevante deriva dalle intercettazioni in mano ai servizi segreti che, dopo una sospensione di qualche anno, avevano ripreso a controllare le sue comunicazioni quando aveva cominciato a collaborare con Trump, il quale non è mai stato messo sotto controllo direttamente, ma potrebbe essere stato indirettamente intercettato.

Ma i problemi non più teorici e di immagine, per Trump, non terminano con Manafort e Gates. Robert Mueller ha reso noto che l’ex collaboratore volontario della campagna di Trump, George Papadopolous, poche ore dopo la consegna volontaria di Manafort, si è dichiarato colpevole di aver reso false dichiarazioni all’Fbi nell’ambito delle indagini sul Russiagate.

Secondo l’ufficio di Mueller, Papadopolous ha mentito riguardo «i tempi, l’estensione e la natura dei suoi rapporti e della sua interazione con certi stranieri che aveva capito avere strette connessioni con alti dirigenti del governo russo».

Dopo Donald Trump Jr, Papadopolous è quindi la seconda persona vicina a Trump che, con certezza, durante la campagna elettorale ha avuto incontri con rappresentanti del governo russo per discutere di materiali potenzialmente dannosi per Hillary Clinton.

Papadopolous era stato arrestato a fine luglio, ma si è dichiarato colpevole solo lunedì: «Attraverso le sue false dichiarazioni e omissioni – ha dichiarato lo staff di Mueller – l’imputato ha ostacolato l’indagine dell’Fbi in corso riguardante l’esistenza di qualsiasi legame o coordinamento tra individui associati alla campagna e gli sforzi del governo russo per interferire con le elezioni presidenziali del 2016».

Papadopoulos, nel primo colloquio con l’Fbi, aveva affermato di aver avuto dei contatti con Mosca prima che Trump lo prendesse come collaboratore della campagna elettorale, nel marzo 2016. In realtà aveva iniziato a comunicare con i russi dopo aver aderito alla campagna in qualità di esperto di fonti energetiche.

Il terremoto annunciato non è il punto finale, ma quello di inizio: ora si aprirà un processo dall’esito imprevedibile e che potrebbe durare mesi.

FONTE: Marina Catucci, IL MANIFESTO



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