La fuga di capitali che devasta e impoverisce l’Africa
E le risorse accumulate all’estero negli ultimi decenni superano di molto le risorse andate nell’altra direzione, compresi gli aiuti e il debito
La storia è nota: l’Africa è povera e ha bisogno dell’aiuto dei paesi ricchi. E se le potenze occidentali hanno sfruttato il continente con la schiavitù, il colonialismo e il saccheggio delle risorse naturali, è stato in passato. Oggi sono generose, determinate a eliminare la povertà e a promuovere lo sviluppo sostenibile. Ma questa favoletta, che i paesi ricchi ripetono fino alla nausea, è piuttosto ingenua. Sappiamo da un pezzo che l’Africa è «creditrice netta» rispetto al resto del mondo. L’ammontare di risorse finanziarie accumulate all’estero grazie alla fuga di capitali negli ultimi decenni supera di molto le risorse che vanno nell’altra direzione, compresi gli aiuti e il debito. Ogni anno si prelevano dal continente fra i 30 e i 60 miliardi di dollari, secondo un rapporto diffuso nel 2015 dal Gruppo di alto livello sui flussi finanziari illeciti (High Level Panel on Illicit Financial Flows) creato dalla Commissione economica dell’Onu per l’Africa (Uneca), presieduto da Thabo Mbeki, ex presidente del Sudafrica. E si tratta di stime al ribasso.
In cosa consiste questa emorragia che gli specialisti chiamano «flussi finanziari illeciti»? Intanto, ovviamente, si compone di attività criminali di ogni tipo (droghe, traffico di armi, ecc.), alle quali si aggiunge il riciclaggio di denaro legato alla corruzione. Inoltre le compagnie multinazionali facilitano flussi finanziari illeciti in uscita manipolando transazioni commerciali. Fatture false, transfer pricing, pagamenti fra case madri e loro sussidiarie, meccanismi di elusione fiscale allo scopo di nascondere redditi sono pratiche comuni da parte delle compagnie, nel loro sforzo d«i massimizzare i profitti. È comune il ricorso sia all’evasione fiscale (che è illegale) che all’elusione fiscale, grazie alle scappatoie legali offerte dal sistema di tassazione internazionale.
La fuga di capitali è un fenomeno globale. Per anni, i paesi sviluppati hanno ritenuto che il problema dei flussi finanziari illegali fosse prima di tutto una faccenda di lotta contro il terrorismo, il riciclaggio di denaro e altri crimini finanziari. Ma di recente, in un periodo di grande pressione sui bilanci nazionali, i governi delle economie avanzate hanno moltiplicato gli sforzi per combattere anche l’evasione da parte delle aziende. Questo in parte spiega per esempio la battaglia in corso in Europa: paesi come la Francia e la Germania sono stanchi di vedere i colossi del digitale come Google, Apple, Facebook e Amazon aggirare gli obblighi fiscali spostando i profitti in Irlanda o Lussemburgo.
Ma l’impatto della fuga di capitali sui paesi in via di sviluppo, in particolare sull’Africa, è di gran lunga più devastante. Nel continente africano le entrate fiscali sono già molto basse: in media il 17% del Prodotto interno lordo (Pil), rispetto al 35% dei paesi ricchi. E le autorità fiscali non hanno risorse sufficienti per contrastare le strategie sempre più sofisticate, sempre più aggressive messe in atto dalle multinazionali per evadere le tasse; per non parlare dei meccanismi di corruzione che coinvolgono i politici locali.
Il costo umano e sociale degli abusi relativi alle imposte societarie è gigantesco. Significa infatti meno risorse per infrastrutture, istruzione, salute, alimentazione, protezione dei diritti delle donne, programmi ambientali. Non per nulla le Nazioni unite hanno dichiarato che i flussi finanziari illeciti sono un grave ostacolo al finanziamento dello sviluppo e dunque al raggiungimento degli Obiettivi dello sviluppo sostenibile.
In questo contesto, la Commissione indipendente per la riforma della tassazione delle imprese multinazionali (Icrict) ha chiesto alle Nazioni unite uno sforzo per combattere l’evasione fiscale da parte delle transnazionali come parte di una più ampia strategia di lotta contro i flussi finanziari illeciti.
È una lotta che richiede l’impegno da parte degli Stati e della comunità globale per migliorare la trasparenza dei sistemi finanziari e del commercio internazionale, e per consolidare le capacità delle amministrazioni fiscali nazionali. Questo significa, fra l’altro, obbligare le imprese a rendere pubblici i dettagli delle loro attività in ognuno dei paesi dove operano, per far sì che tutti i profitti siano debitamente tassati nel paese dove si svolgono effettivamente le attività produttive e commerciali. E significa anche monitorare tutti i fattori e gli attori che rendono possibile la fuga dei capitali, in particolare le banche che aiutano a nascondere le risorse finanziarie illegalmente succhiate via, a danno dell’Africa.
Léonce Ndikumana è docente di economia e direttore del Programma per la politica di sviluppo dell’Africa presso l’Istituto di ricerca di economia politica all’università del Massachusetts. È commissario della Commissione indipendente per la riforma della tassazione delle imprese multinazionali (Icrict).
Questo articolo esce oggi in una dozzina di paesi diversi in occasione dell’inizio a Nairobi della conferenza sui flussi finanziari illeciti e il loro impatto sullo sviluppo dell’Africa
Read the English version at il manifesto global
FONTE: Léonce Ndikumana, IL MANIFESTO
Related Articles
Web, dollari e violenza la modernità perversa dei carnefici del Califfato
L’ascesa dell’islamofascismo è la reazione al fallimento delle rivoluzioni arabe e alla scomparsa dei laici: solo l’alleanza tra liberalismo e sinistra radicale può salvare i paesi musulmani dalla deriva fondamentalista
Fisco, arriva la stangata di marzo scattano le addizionali Irpef alleggerita la busta paga
Rincari in tutte le Regioni e in 300 Comuni Già questo mese si pagherà il conguaglio 2011 delle maggiori addizionali regionaliSbloccata dal governo anche l’Irap locale oltre ai tributi minori Rifiuti, pronti altri rincari Ecco gli aumenti delle tasse, tra provvedimento Salva-Italia e nuovo decreto fiscale
Spread congelati, economia a pezzi
In Gran Bretagna la Banca d’Inghilterra assicura il rifinanziamento del debito; crescente, visto che il deficit nel bilancio pubblico è al 7% del Pil, fissando il tasso di interesse e chiudendo il circuito tra la Banca Centrale ed il Tesoro. I titoli britannici non sono quindi volatili e sottoposti a speculazione: gli investitori istituzionali li acquistano, oggi anche con parecchi soldi in fuga dalla Spagna, accettando rendimenti negativi dato che i tassi inglesi sono inferiori all’inflazione.