In pensione a 67 anni dal 2019: protestano i sindacati

by Massimo Franchi | 25 Ottobre 2017 11:21

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L’Istat a fare da ragioniere, il governo ad adeguarsi senza ascoltare il grido di protesta dei sindacati e del fronte parlamentare bipartisan. Dal primo gennaio 2019 l’età pensionabile salirà per tutti di ben 5 mesi. Raggiungendo i 67 anni per la pensione di vecchiaia per i lavoratori dipendenti a prescindere dal sesso, mentre per le pensioni anticipate (ex-anzianità) si arriva a 43 anni e tre mesi di contributi per gli uomini e 42 anni e tre mesi per le donne.
COME ERA SCONTATO ieri è arrivato il verdetto dell’istituto nazionale di statistica: nel suo annuale studio «Indicatori di mortalità della popolazione residente» per il 2016 è contenuto il computo utilizzato per le pensioni – l’aspettativa di vita a 65 anni che arriva a 20,7 anni per il totale dei residenti, allungandosi di cinque mesi rispetto a quella registrata nel 2013 – come da legge del 2009 – ancoraggio dell’età di accesso alla pensione all’aspettativa di vita – ritoccata – in peggio – dalla riforma Fornero che ha stabilito che – a prescindere dall’aspettativa di vita – dal primo gennaio 2021 la soglia dei 67 anni.
IL TUTTO SENZA TENER CONTO dell’opinione di insigni demografi come Gian Carlo Blangiardo (Milano Bicocca) che da agosto sostiene che nel 2017 l’aspettativa di vita calerà di molto visto il boom dei decessi (+ 14,6 per cento nel primo trimestre rispetto al 2016) e il calo delle nascite (2,6 per cento). Ma la legge è inflessibile e ingiusta: l’adeguamento vale solo al rialzo, se cala la speranza di vita non calerà l’età pensionabile.
DUNQUE SI ARRIVERÀ A 67 ANNI con due anni di anticipo rispetto alla Fornero. E la scelta sarà certificata dalla nota congiunta dei direttori dei ministeri di Economia e Lavoro che verrà redatta entro la fine dell’anno. Rafforzando a livelli record il già poco invidiabile primato dell’Italia in Europa: l’età pensionabile più alta del continente, specie per le donne.
UN’ESCALATION che negli ultimi anni ha tratti vergognosi: l’età pensionabile per le donne dal 2010 ad oggi è aumentata di ben 7 anni, in pratica un anno in più ogni anno che passava. Con diseguaglianze grottesche: la classe delle donne del 1953 ha tra le sue fila le dipendenti pubbliche assunte appena dopo il diploma che sono in pensione «baby» dal 1988 – con 14 anni, sei mesi e un giorno di contributi – a soli 35 anni e chi invece ora dovrà attendere di compiere i 67 anni di età e dunque andrà in pensione nel 2020: una differenza di ben 32 anni di età.
IL PARADOSSO DELLA SITUAZIONE è presto detto: non esiste una forza politica che ieri si è detta favorevole all’aumento, ma a meno di colpi di scena l’aumento ci sarà. Il governo infatti non ha mosso un dito e anche ieri ha lasciato alle forze politiche l’onere del cambiamento.
A CAPEGGIARE LA RICHIESTA di congelamento c’è il presidente delle commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano che fin da luglio ha lanciato il tema assieme al suo pari ruolo del Senato Maurizio Sacconi – convertito recentemente a difensore dei diritti dei pensionati dopo essere stato autore di molti scalini. «Faremo una battaglia politica per convincere il governo che Si puo’ rimandare il decreto che fissa a 67 anni l’età di pensione a giugno 2018, del resto l’adeguamento scatterebbe dal 2019. O – suggerisce sempre Damiano – si può dare corso a quanto scritto nel verbale con i sindacati del 2016, bloccando l’aspettava di vita anche per i lavoratori che accedono all’Ape sociale». Il problema è come sempre di risorse: congelare i 5 mesi di innalzamento costa fra 1,2 e 1,5 miliardi e Padoan non vuole metterci un euro.
CGIL, CISL E UIL INSISTONO per una sospensione del meccanismo di adeguamento automatico tra aspettativa di vita ed età di uscita. Un modo, sostengono, per avere il tempo di rimettere mano alla materia. I confederali puntano a uno sconto di qualche mese o a tarare l’aumento sulla «gravosità dei lavori» – escludendo così dagli incrementi maestre d’asilo, operai edili, macchinisti. Le parole più dure le usa la leader della Cgil. Susanna Camusso va all’attacco, bollando il rialzo dell’età come una «follia» e lamentando che l’esecutivo «aveva assunto l’impegno a discuterne». La risposta del ministro del Lavoro Giuliano Poletti è furbesca: «I tempi per il Parlamento o per le forze politiche che vogliono intervenire ci sono». Ma se il governo non si impegnerà, i 67 anni rimarranno.

FONTE: Massimo Franchi, IL MANIFESTO[1]

 

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