Trump rilancia la xenofobia. Il rischio di una seconda guerra civile

by Guido Moltedo | 2 Novembre 2017 8:35

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In una città dove ormai solo il 51 per cento dei suoi abitanti parla inglese a casa e dove sono parlate centinaia di lingue e dialetti d’ogni dove e d’ogni tipo, una città in cui la prima religione è di gran lunga quella cattolica, praticata da oltre il 60 per cento dei suoi abitanti, è logico che il suo sindaco respinga con la massima fermezza il tentativo di «politicizzare» la terribile vicenda che ha insanguinato la metropoli americana nel giorno di Halloween.

«Politicizzare» nel senso di criminalizzare chi arriva in America da paesi lontani, che è l’essenza della storia di questo grande paese e fonte primaria della sua forza.

Criminalizzare la nuova immigrazione, non più europea e bianca com’era in gran parte del Novecento, ma oggi proveniente dal sud del mondo, criminalizzare specie gli immigrati fedeli a un credo che, ormai, giorno dopo giorno, diventa sinonimo di propensione al terrorismo, se non di terrorismo tout court.

Donald Trump, coerentemente con il punto centrale della sua piattaforma elettorale, ha colto al volo l’opportunità offertagli dal gesto insano compiuto da Sayfullo Saipov per riprendere il filo logorato della sua relazione con l’elettorato bianco arrabbiato – la sua base elettorale – rilanciando la sua offensiva xenofoba, con l’occhio rivolto alle elezioni di medio termine.

E ha trovato una buona cassa di risonanza nel Partito repubblicano, un partito allo sbando e terrorizzato dal voto del 2018, privo di idee ma adesso galvanizzato dal rilancio dell’idea-forza del presidente tesa a rimotivare il blocco elettorale che lo elesse e che, con i suoi voti, potrebbe rendere possibile il mantenimento, ora a rischio, della maggioranza al senato e alla camera da parte del Grand Old Party.

Dopo l’11 settembre George W. Bush sentì l’urgenza di chiamare a raccolta e all’unità il popolo americano e sei giorni dopo fece visita alla moschea di Washington dove pronunciò un discorso elevato di rispetto per l’islam e di messa in guardia da ritorsioni verso gli americani di origine araba e musulmani. Quello che avvenne dopo fu altra cosa, e in qualche misura quel che è successo ieri va anche collegato alla follia della guerra irachena lanciata da Bush, ma ecco, perfino un presidente come lui considerava intangibile il principio fondativo dell’America, terra di immigrati e mosaico in divenire di tante comunità, un principio evidentemente allora messo a rischio dall’attacco alle torri gemelle.

Nell’America di Trump accade che il suo massimo collaboratore, John Kelly, il capo dello staff presidenziale, affermi recentemente che la Guerra Civile poteva essere evitata se le due parti in conflitto avessero cercato un «compromesso». Su cosa? Sulla schiavitù praticata dal Sud?

Si capisce che questo continuo coccolare l’elettorato estremista bianco sia l’unica vera cifra dell’amministrazione Trump e della maggioranza repubblicana, con il rischio, reale, che si vada verso una seconda guerra civile americana.

Ecco perché il sindaco di New York Bill de Blasio, il governatore dello stato di New York Andrew Cuomo, il senatore dello stato Chuck Schumer, che è anche il capogruppo democratico al senato, hanno sentito l’urgenza di replicare immediatamente e unitariamente al gioco pericoloso di chi cerca consensi alimentando conflitti tra le comunità e così spaccando l’America, con un’intenzionalità che deve far paura.

Va dato atto ai dirigenti democratici di avere sostenuto con fermezza una posizione politica che non è facile neppure per loro, in un paese intossicato dalla propaganda xenofoba di media potenti, come Fox, e da siti come Breitbart, un paese dove da una parte c’è la cosmopolita New York, encomiabile nella sua reazione, dall’altra un’America che ha scelto come presidente Trump e come maggioranza parlamentare la peggiore destra repubblicana.

Non può consolare l’ipotesi che questa spinta alla divisione sia una distrazione momentanea dallo scandalo che monta intorno alla Casa bianca.

I complottisti potrebbero indagare sulla coincidenza tra la vicenda di Manhattan e il Russiagate, ma anche ammettendo che il gesto di Saipov possa addirittura essere stato pilotato, non dall’Isis, ma da qualcun altro, è del tutto ininfluente rispetto all’assedio che si stringe intorno alla Casa Bianca.

L’unico nesso possibile che potrà prodursi, come effetto collaterale della strage di Halloween, è in un balzo della popolarità, oggi ai minimi storici, di Trump resa possibile proprio dai suoi sciagurati tweet xenofobi, un migliore posizionamento che gli consentirebbe di assecondare addirittura quello che gli raccomanda Steve Bannon ma che oggi – data la sua debolezza politica – non gli è consentito: licenziare il procuratore speciale Richard Mueller o almeno tagliargli drasticamente i fondi necessari per le sue indagini.

E chiudere così il Russiagate.

FONTE: Guido Moltedo, IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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