Roma Capitale delle povertà. Cresce la classe dei «working poors»

Roma Capitale delle povertà. Cresce la classe dei «working poors»

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Rapporto Caritas. Città di case senza gente e di gente senza case, atroce bellezza per nulla grande, vasta periferia, geografica e dell’anima. La crisi assedia centro e periferie. Crescono le dipendenze: droga alcol e azzardo. 9,8 per cento è la disoccupazione registrata in città. In dieci anni, dopo i finti fasti veltroniani, è aumentata del 2,6%. Era al 7,2%. 130 mila alloggi sfitti nella città delle «case senza gente e della gente senza casa». Quello immobiliare è un mercato spietato che genera precarietà e sfratti. 7,8 miliardi di euro è il giro di affari nel Lazio, ma in gran parte romano. Crescono le ludopatie e le richieste di cure psichiatriche mentre servizi sono tagliati

È nata una «classe» di nuovi poveri, cresciuta nelle periferie e nelle classi meno abbienti, come pure nella classe media. Si tratta di una condizione sociale, economica e psicologica trasversale determinata dall’austerità dei tagli alla spesa sociale, ai trasporti, dalla precarietà di massa e dall’abbandono dei servizi che scaricano sulle famiglie costi intollerabili.

Capitale di un paese impoverito, impaurito e risentito. In sé città dell’esclusione che si manifesta in maniera imprevedibile. Quello che colpisce nel rapporto della Caritas, presentato ieri all’università Lateranense, è il racconto del «barbonismo domestico», persone che vivono nell’abbandono più totale anche se possiedono una casa e non sono esposte allo sfacelo di uno sfratto violento, magari con la forza pubblica e il pignoramento dei beni. Non esiste più solo la povertà economica «tradizionale», quella visibile dei senza dimora, ma anche quella dei «working poors» che pagano un affitto, lavorano o hanno lavorato e che non arrivano a fine mese. Anzi «non hanno di che vivere». Dopo i finti fasti veltroniani, e le successive compensazioni urbanistiche, si è alzato il sipario su una crisi a lungo messa sotto il tappeto da speculatori di ogni genere. In dieci anni la disoccupazione è passata dal 7,2% al 9,8%, mentre la povertà ha raggiunto il centro città, unendola alle periferie.

ROMA, CITTÀ dell’abbandono, atroce bellezza per nulla grande. Impietosa con chi abita la periferia, geografica e dell’anima. Perché il deserto nasce anche da abitudini compulsive che si rispecchiano nelle dipendenze da droga, alcol e gioco di azzardo. Da quando le consolari si sono riempite di casinò, luoghi che si sono installati stabilmente anche in quartieri centralissimi, ad esempio Trastevere, il gioco d’azzardo movimenta un volume di affari calcolato in 7,8 miliardi di euro. Il dato si riferisce al Lazio, ma è probabile che Roma abbia dato un contributo decisivo. Com’è decisivo il numero delle persone, in prevalenza maschi oltre i 40 anni, con un titolo di studio medio-basso, che si rivolgono ai servizi per le dipendenze (SerD).

In questa città dell’incomunicabilità alla Caritas risulta che quasi il 50% degli studenti tra i 14 e i 19 anni ha giocato d’azzardo nello scorso anno scolastico. Lì dove hanno chiuso i biliardi, dove si andava quando si faceva «X» a scuola, oggi crescono le «macchinette».

LE PERIFERIE della solitudine qui non hanno confini. È così ovunque e anche a Roma dove si sente tutta quella enorme «fatica di essere se stessi» che già una quindicina di anni fa Alain Ehrenberg raccontava a proposito del protagonista del nostro tempo: il soggetto performativo e compulsivo, oscillante tra depressione e entusiasmo, oggi chiamato anche «uomo indebitato». C’è un’annotazione nel rapporto «la povertà a Roma» sull’aumento delle persone affette da «disturbo mentale»: 68.217 nel Lazio. A Roma si registra una crescita della domanda di cure psichiatriche a elevata complessità mentre i tagli al sistema sanitario nazionale continuano, creando un’offerta impoverita e disomogenea tra municipio e municipio.

LA CAPITALE della povertà è anche una città di «case senza gente e di gente senza casa». La visione di un sindaco e storico dell’arte come Giulio Carlo Argan ha avuto un valore profetico. Questa immensa città, tra le prime per estensione in Europa, è ancora così: una landa di 130 mila alloggi sfitti. L’emergenza casa è stata urlata in ogni modo dai movimenti per il diritto all’abitare in questi anni. Vilipesi, repressi, perseguitati con il «Daspo», sono loro che affrontano il dramma di 5 mila persone che non hanno altra strada che vivere in occupazione e di altre 30 mila che vivono in emergenza.

Perché la povertà è anche generata dal capitale più aggressivo, e vetusto, che ci sia: quello palazzinaro che specula su una vita in cerca di casa. Un mercato spietato impedisce di creare un’offerta abitativa e affitti accessibili. Gli esclusi si ritrovano nelle occupazioni con famiglie immigrate e italiani senza casa mentre in città c’è uno sfratto per morosità incolpevole (cioè manca il salario per pagare spese e affitto) ogni 279 abitanti. La media nazionale è uno sfratto ogni 419 abitanti. Solo nel 2016 sono state sfrattate con la polizia 3.215 famiglie. Davanti a questo scempio, restano i movimenti e i sindacati degli inquilini. Da soli, contro tutti, inascoltati. E, in ultima istanza, i centri di ricovero della Caritas, o di Sant’Egidio. Qui i senza tetto sono 7.500 ma stime ufficiose parlano di stime fino a16 mila persone. Il doppio.

CHE RABBIA, questa povera capitale di una nazione ipocrita. Oggi le destre speculano sull’odio anti-immigrati, ma i dati Caritas raccontano tutt’altro: i richiedenti asilo sono 4.063, e il sistema Sprar e Cas in affanno, ma gli stranieri sono il 13,1%, e il 44% di loro sono europei, un valore inferiore a Milano o Firenze. Roma, capitale della povertà dove vittima è anche la verità.

FONTE: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO

 



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