Pensioni. Il governo blinda i 67 anni, ma c’è incognita emendamenti

by Massimo Franchi | 23 Novembre 2017 11:20

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Trucchi, emendamenti e pressioni. La partita pensioni si avvia al passaggio parlamentare piena di incognite. Le uniche conferme arrivano dal fronte del rigore, richiesto ieri anche nella lettera di richiamo della commissione Ue. Se il falco vicepresidente Valdis Dombrovskis ribadisce a Padoan che «è importante restare fedeli alle importanti riforme strutturali, comprese le pensioni per garantire la loro sostenibilità nel tempo», ecco che il governo ha preparato il decreto interministeriale che recepisce l’aumento a 67 anni dell’età pensionabile dal primo gennaio 2019.
La presentazione del decreto manda in soffitta tutta la – finta – discussione sul congelamento fino a giugno proposto perfino dal vicesegretario Pd Maurizio Martina. Gli emendamenti promessi non sono mai stati presentati.
L’aumento varrà per tutti i lavoratori – uomini e donne per la prima volta assieme – tranne i salvaguardati: in pratica per il 97 per cento dei pensionandi niente cambia.
Il governo – per bocca del sottosegretario all’Economia Enrico Morando – si era impegnato entro ieri sera a presentare in commissione Bilancio al Senato l’emendamento che tramuta in norme il testo frutto della trattativa con i sindacati.
Un emendamento su cui pesano moltissime incognite. Il testo governativo frutto della trattativa con i sindacati infatti è fatto essenzialmente di «impegni» e termini molto ambigui. Ad esempio nell’ultima versione del testo era stato inserita la promessa «ad aumentare fino ad un anno a figlio» lo sconto per le donne che accedono all’Ape sociale, sempre fino ad un massimo di 2 anni.
Proprio perché si attende sorprese interpretative, anche la Uil – come già ha cominciato a fare la Cgil – ha organizzato una serie di incontri con i gruppi parlamentari. L’idea è quella di ottenere sfruttare la pressione – e la precedente volontà di congelare per tutti lo scatto a 67 anni – per ottenere «miglioramenti al testo».
Miglioramenti sui quali comunque pende già la spada di Damocle della scontata fiducia che il governo metterà ad un certo punto al testo, lasciando al maxiemendamento le poche modifiche concesse.
La pressione più grande verrà però dalle cinque piazze già convocate dalla Cgil con il sostegno dei partiti di sinistra. Come anticipato dal Manifesto la data prescelta – sabato 2 dicembre – era troppo ravvicinata per organizzare una sola manifestazione nazionale. Lo sarà comunque virtualmente: l’intervento conclusivo di Susanna Camusso dal palco di piazza del Popolo a Roma sarà trasmesso anche a Torino – dove i lavoratori del Nord si ritroveranno a piazza San Carlo, a Bari in piazza Prefettura, a Palermo in piazza Verdi e a Cagliari in piazza Garibaldi. Tutte le manifestazioni saranno «stanziali», dunque senza cortei.
Si tratta della prima mobilitazione autunnale della Cgil dal 25 ottobre 2014 – quella che riempì piazza San Giovanni contro il Jobs act – smentendo chi sostiene trattarsi «dello stanco rito del sindacato». Ancor più sbagliato considerarla uno sciopero – essendo di sabato non può esserlo – anche perché questa forma di protesta è stata comunque evocata da Susanna Camusso come possibile seconda mossa e viene chiesta a gran voce dalla Fiom.
Lo slogan prescelto per le manifestazioni è: «Pensioni, i conti non tornano». E nel volantino si ribadiscono le richieste: «Bloccare l’innalzamento illimitato dei requisiti per andare in pensione, garantire un lavoro dignitoso e un futuro previdenziale ai giovani, superare la disparità di genere e riconoscere il lavoro di cura, garantire una maggiore libertà di scelta ai lavoratori su quando andare in pensione». Senza dimenticare la volontà di «cambiare la legge di bilancio per sostenere lo sviluppo e l’occupazione», «estendere gli ammortizzatori sociali» e di «garantire a tutti il diritto alla salute».
La mobilitazione della Cisl invece sarà confinata alle sole assemblee regionali dei delegati.

FONTE: Massimo Franchi, IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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