by Susanna Camusso * | 27 Novembre 2017 12:00
di Susanna Camusso *
Mentre va in stampa l’edizione 2017 del Rapporto sui Diritti Globali giunto alla 15a edizione, l’Europa è segnata da preoccupanti scenari di divisione. E quali saranno gli sviluppi nel prossimo futuro, oggi, non è affatto chiaro. Anzi, la parola che meglio definisce l’attuale situazione è “incertezza”.
I detriti della crisi
La crisi economica, che dati e statistiche danno per conclusa almeno nei principali Paesi europei, ha contagiato società e persone lasciando dietro di sé un portato di diseguaglianze e disagi che si è trasformato in crisi politiche e sociali. In molti Paesi le destre, anche estreme, stanno riconquistando spazi, mentre slogan e ideologie che credevamo superati sono tornati d’attualità obbligandoci a profonde riflessioni. Il referendum sull’autonomia della Catalogna ha aperto, dopo quello sulla Brexit, una nuova fase di disorientamento all’interno dell’Unione Europea e, contemporaneamente, ha rialimentato spinte secessionistiche o autonomistiche di regioni o gruppi etnici che spesso, più che a fattori socio-culturali, fanno da sponda a strategie politico-elettorali sintonizzati su paure, egoismi, populismi.
L’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti e, dall’altra parte del globo, le prove muscolari del dittatore nord coreano, hanno aperto una nuova fase di instabilità nel panorama geopolitico nella quale, dopo la fase distensiva a guida di Barack Obama, sono tornate a circolare parole come riarmo, conflitti nucleari, guerre. Un’elezione, quella del magnate americano sfacciatamente nazionalista e liberista, sulla quale in pochi avrebbero scommesso e che oggi si vuole essere stata pesantemente condizionata dall’uso spregiudicato dei Social media e in particolare di Facebook.
Scenari, quelli legati ai nuovi mezzi di relazione più che di comunicazione, dove dietro lo scudo dell’anonimato e con le potenzialità dei big data, si giocano partite ancora non leggibili ai più, trovano libero sfogo rabbia e violenza, si creano e si distruggono carriere e reputazioni. Dinamiche che ci obbligano a riflessioni e analisi. I nuovi media ci stanno cambiando? E come stanno influenzando la nostra società e la rappresentazione che ne abbiamo? L’affidabilità e la serietà delle fonti è ancora un valore?
Il lavoro impoverito
La globalizzazione non regolamentata sta redistribuendo in maniera disomogenea ricchezze e profitti e sta impoverendo il lavoro. Mentre si promuovono trattati economici come il TTIP e il CETA per liberalizzare ulteriormente la circolazione di merci e beni con dinamiche che penalizzano le produzioni locali a favore delle grandi multinazionali. Allo stesso tempo si alzano muri, si chiudono porti e frontiere alla circolazione delle genti. Il fenomeno migratorio verso l’Europa non accenna a diminuire mentre le istituzioni comunitarie sono incapaci di trovare soluzioni umanamente accettabili. Sono elementi che, da un lato, fomentano razzismi e, dall’altro, alimentano risentimenti e rabbia nei giovani immigrati di prima o seconda generazione che faticano a integrarsi, a salire sull’ascensore sociale e costituiscono il braccio ideale per i guerriglieri dell’odio islamico. Problemi che si sovrappongono e si intrecciano mentre nelle acque del Mediterraneo si continua a morire.
Le difficoltà ereditate dalla crisi, aggravate da provvedimenti di politica economica e sul lavoro, invece di mirare alla coesione sociale, hanno ulteriormente precarizzato, indebolito i ceti medi e favorito l’aumento delle diseguaglianze. Oggi in Italia il 20% più ricco della popolazione detiene quasi il 70% della ricchezza nazionale, mentre l’indice di Gini, che misura espressamente diseguaglianze, dal 1990 a oggi registra un costante aumento, grazie a politiche, basate soprattutto su bonus e provvedimenti spot di cui hanno beneficiato indistintamente fasce alte e basse della popolazione, che hanno premiato le rendite e penalizzato il lavoro. Sono ormai 12 milioni gli italiani che rinunciano a curarsi per motivi economici. La disoccupazione continua a registrare dati allarmanti, soprattutto nelle fasce più giovani e tra le donne, mentre le politiche di contenimento della spesa hanno impoverito i servizi, il welfare, la sanità, la cura e la manutenzione dei territori, la logistica, il settore dei trasporti pubblici.
Un Paese immobile
Il clima di insoddisfazione e preoccupazione per il domani sta alimentando una nuova era di individualismi e diffusa esasperazione nei confronti delle istituzioni e della rappresentanza. Il complicato – e a oggi affatto certo – iter della nuova legge sul riconoscimento della cittadinanza, che prevede l’introduzione dello ius soli temperato e dello ius culturae, è la conseguenza di questa condizione che ha contrapposto poveri a disperati, giovani a genitori, attivi a pensionati, nell’evidente incapacità della politica di governare le scelte, sul versante del diritti di cittadinanza come sul versante della politica economica dove, sempre più spesso, i governi abdicano alle imprese decisioni che condizionano lo sviluppo e la crescita del Paese con risultati non all’altezza delle risorse impegnate.
Nel corso dell’anno, organismi nazionali e internazionali hanno ripetutamente segnalato, soprattutto se confrontata con le dinamiche degli altri Paesi europei, la stentata crescita del PIL italiano individuandone la causa nei mancati investimenti, pubblici e privati. Se la produttività continua a essere la leva per comprimere indiscriminatamente i diritti dei lavoratori, la scarsità di risorse destinate alla ricerca e allo sviluppo, stanno zavorrando il futuro del Paese. Si investe poco nell’istruzione; ancora meno su università e corsi post diploma, uno dei valori più bassi dell’Europa a 28 e con forti disparità a livello territoriale che, secondo una distorta idea di efficienza, penalizzano le aree già svantaggiate. Il risultato è un Paese immobile con un insufficiente numero di laureati, spesso inoccupati, sottoccupati e, se di alto profilo, sempre più frequentemente costretti a emigrare. Un’economia che regala ad altri Paesi le sue migliori risorse, perpetua le differenze sociali e non può che rallentare il suo ritmo di crescita.
Le nuove sfide
Mentre l’Italia stenta nella competizione, scivola nei ranking mondiali su scuola, università e ricerca, i sistemi di produzione e di organizzazione del lavoro cambiano sempre più rapidamente. Così, se da un lato, con uno straordinario impegno della nostra organizzazione abbiamo ottenuto una nuova normativa per il contrasto al caporalato e allo sfruttamento dei lavoratori da parte di intermediari, dall’altro si stanno diffondendo rapidamente, le intermediazioni del lavoro via app nelle quali è un algoritmo a decidere retribuzioni e destino dei lavoratori impiegati. Lavoratori poveri, on demand, senza contratti, diritti, ferie, congedi. Sistemi che stanno occupando spazi sempre più ampi dell’economia globale e che spingono l’acceleratore su una competizione sfrenata giocata esclusivamente sulla compressione dei costi, del lavoro, dei diritti. Un mondo nel quale mentre ci si interroga sulle conseguenze della crescente robotizzazione di intere filiere o sull’impiego delle intelligenze artificiali, si retribuiscono con pochi spiccioli lavoratori in carne ed ossa.
È questo il clima delle nuove sfide. Riportare i diritti nel lavoro, dare voce e rappresentanza anche a quelle categorie che oggi faticano a riconoscersi nel sindacato, ripristinare il giusto riconoscimento dei tempi di vita, delle fatiche, delle condizioni familiari gravose, quelle che convivono con la non autosufficienza; fare in modo che la scuola e l’università tornino a essere ascensore sociale e non luoghi insicuri. In parte le incontreremo e seguiremo nelle aziende, nei posti di lavoro, nelle sedi del confronto con le istituzioni nazionali. Altre ci impegneranno a trovare o a rafforzare alleanze e concordanze anche oltre i normali circuiti e confini.
In questo primo quarto del nuovo millennio, la CGIL continuerà a cambiare, ad abbracciare le nuove sfide, si trasformerà proprio come il mondo che rappresenta. Perché il sindacato è questo, un’organizzazione nata per la difesa del lavoro e dei lavoratori, fatta da lavoratori consapevoli che solo insieme si può.
* Segretario generale della CGIL
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