Paradise Papers, i segreti dei vip offshore

Paradise Papers, i segreti dei vip offshore

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E poi star come Madonna e Bono, le regine d’Inghilterra e Giordania, i big della finanza e delle multinazionali. Ecco la nuova inchiesta giornalistica internazionale che rivela 13,7 milioni di documenti riservati di migliaia di società offshore collegate ai potenti del mondo

 

La regina d’Inghilterra. Il ministro al commercio di Trump. Star della musica come Madonna e Bono. L’ex generale Wesley Clark, già comandante supremo della Nato in Europa. Il co-fondatore della Microsoft, Paul AllenLa regina di Giordania. Il tesoriere del primo ministro canadese Justin Trudeau. Il finanziere George Soros.

Sono nomi che compaiono, con moltissimi altri, in una lunga lista di personaggi eccellenti, accomunati da una caratteristica: hanno investito in società offshore. A svelare i loro affari riservati nei paradisi fiscali è un grande “leak”, una gigantesca fuga di notizie, che rende possibile conoscere fatti e misfatti di migliaia di personaggi della categoria dei “ricchi e famosi”, celebrati dalle cronache finanziarie, giudiziarie o mondane. Li raccontano montagne di file ottenuti dal giornale tedesco Suddeutsche Zeitung, che li ha condivisi con l’International Consortium of Investigative Journalists (Icij). Documenti studiati e analizzati da più di 380 giornalisti, attivi in 67 paesi e 96 media di tutto il mondo, tra cui New York Times, Guardian, Le Monde, Bbc, che L’Espresso pubblica in esclusiva per l’Italia insieme con Report, la trasmissione d’inchiesta di Raitre.

Rivelazioni sugli affari riservati nei paradisi fiscali di 120 politici di tutto il mondo e di migliaia di ricchissimi imprenditori, uomini d’affari, case reali e istituti religiosi. I segreti sono nascosti nei 13,4 milioni di documenti su società offshore ricevuti dalla testata tedesca Süddeutsche Zeitung che li ha condivisi con Icij, il Consorzio internazionale di giornalisti investigativi. In questo video, le prime anticipazioni dell’inchiesta firmata da l’Espresso e Report, partner di Icij in esclusiva per l’Italia. I servizi sui Paradise Papers che riguardano l’Italia verranno pubblicati da L’Espresso domenica 12 novembre e da Report con una puntata speciale che andrà in onda lo stesso giorno alle 15,30 su Raitre.

Il nome in codice della nuova inchiesta giornalistica internazionale è Paradise Papers. Ed è firmata dallo stesso network dei Panama Papers, le carte segrete dello studio Mossack Fonseca che nel 2016 hanno per la prima volta svelato come i potenti del mondo, criminali compresi, occultano i propri patrimoni nei paradisi fiscali e societari.

I Paradise Papers sono un nuovo tesoro di 13,4 milioni di documenti riservati che svelano, tra l’altro, i legami d’affari tra la Russia di Putin e il segretario al Commercio di Trump; le operazioni offshore realizzate dal tesoriere del primo ministro canadese Justin Trudeau; gli interessi nelle isole Cayman della regina d’Inghilterra; e le casseforti anonime di più di 120 politici di tutto il mondo.

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Sono documenti che mostrano quanto il sistema finanziario offshore sia in grado di gestire enormi ricchezze a livello globale, come una sorta di economia parallela, sovrapponendosi al mondo visibile degli uomini d’affari, politici, attori e di colossi come Apple, Nike, Uber e altre multinazionali, che vogliono evitare di pagare le tasse grazie ad artifizi contabili sempre più intricati e fantasiosi.

L’ELITE MONDIALE CHE NON PAGA LE TASSE
I file provengono da due studi internazionali di professionisti che forniscono e gestiscono società offshore:  Appleby , fondato nelle Bermuda, con nove filiali in altrettanti paradisi fiscali; e Asiaciti Trust, quartier generale a Singapore e altre 7 sedi in luoghi come isole Cook, Hong Kong, Panama e Samoa. Il primo archivio contiene quasi 7 milioni di documenti, il secondo oltre 560 mila. Poi ci sono i dati ricavati da 19 registri commerciali, finora inaccessibili, gestiti dai governi dei più riservati paradisi societari, dai Caraibi alle isole del Pacifico, da Antigua e Barbuda alle Cook Islands, e di paesi europei come Malta. Questi registri contengono oltre 6 milioni di dati e rappresentano un quinto delle più attive, e segrete, giurisdizioni del globo.
Le offshore sono società estere collocate in paesi dove non esistono tasse sui profitti e dove è possibile tenere segreti i nomi dei titolari. Detenere società offshore è legale, se vengono dichiarate al fisco e alle autorità nazionali. Ma la segretezza che le caratterizza apre le porte a personaggi che vogliono restare nell’ombra: politici corrotti, riciclatori di denaro sporco, trafficanti di droga. Le offshore spesso sono scatole vuote, senza dipendenti o uffici: società-schermo utilizzate in complesse strutture di elusioni fiscale internazionale, che drenano miliardi ai bilanci statali. È un’industria che «rende il povero più povero» e «aumenta la diseguaglianza», come ha spiegato al consorzio Icij la professoressa Brooke Harrington, docente della Copenhagen Business-School, autrice del libro “Capitale senza frontiere: i manager della ricchezza e l’uno per cento”, con riferimento all’elite mondiale favorita dalle offshore, che la studiosa definisce «un piccolo gruppo di persone non soggette alla legge».

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Lo studio Appleby gode di una fama più che centenaria ed è sempre stato attento a non incappare in problemi legali grazie a un mix di discrezione e monitoraggio dei clienti. Eppure, nonostante questa immagine pubblica, si è trovato a trattare non solo con paesi a rischio, come Iran, Libia e Russia, ma anche con paradisi societari contestati a livello internazionale per i buchi nei controlli anti-riciclaggio. E per questo, come rivelano i Paradise Papers, la società Appleby è stata inquisita e multata dall’autorità di controllo monetario delle Bermuda.

Appleby non ha risposto alle numerose richieste di spiegazioni, dettagliatissime, inviate dal consorzio Icij. Ha però pubblicato un commento online, limitandosi ad affermare di essere «soddisfatta che non ci siano prove di qualsiasi irregolarità». E ha aggiunto: «Siamo soggetti a frequenti controlli degli enti regolatori e siamo impegnati a raggiungere gli elevati standard da loro imposti».

RICCHI, FAMOSI E AL DI SOPRA DELLE TASSE
Tra i clienti di Appleby compaiono migliaia di uomini d’affari di tutto il mondo. Ma anche stelle dello spettacolo, tra cui due celebrità. Madonna possiede indirettamente azioni in una società di forniture mediche. Bono, al secolo Paul Hewson, detiene quote di una società registrata a Malta che, stando alle carte, ha investito in un centro commerciale in Lituania. Società chiusa nel 2015, secondo una sua portavoce, che ha puntualizzato: il leader degli U2 era «un investitore di minoranza passivo».

Tra i big dell’industria spicca Paul Allen, co-fondatore di Microsoft. I file di Appleby segnalano i suoi investimenti attraverso società offshore in un mega-yacht e alcuni sottomarini. Anche il re dei fondi d’investimento George Soros, grande finanziatore dei democratici americani, è presente negli elenchi. Le sue strutture di private equity ricorrono a una rete di offshore per operare nel campo delle riassicurazioni (maxi-polizze per altre compagnie assicurative). A Soros fa riferimento anche un’organizzazione filantropica, la Open Society Foundations, che ha sovvenzionato Icij. Ora il consorzio gli ha chiesto un commento sulle sue operazioni finanziarie, ma Soros ha declinato. Altre domande, inviate a Paul Allen e Madonna, non hanno nemmeno avuto risposta.

I POLITICI ALL’OMBRA DELL’OFFSHORE
Folta anche la rappresetanza dei politici americani, repubblicani e democratici. Tra i primi spicca  Wilbur Ross , attuale segretario al Commercio del presidente americano Donald Trump. Tra i democratici emerge Wesley Clark, generale a quattro stelle dell’esercito Usa, già in corsa per le elezioni presidenziali del 2004. Risulta “director”, cioè amministratore, di una società di gioco d’azzardo legale collegata a strutture offshore. Richiesto di un commento da Icij, Clark non s’è fatto vivo,

Nei file americani spunta anche il predecessore di Wilbur Ross nella carica di segretario al Commercio, Penny Pritzker. L’esponente democratica aveva promesso di vendere i suoi investimenti per evitare conflitti d’interesse, dopo essere entrata nel governo del presidente Barack Obama. Gli archivi di Appleby dimostrano però che, dopo essere stata confermata dal Senato nel giugno 2013, Pritzker ha trasferito i suoi interessi in due entità delle Bermuda a un’impresa che usa lo stesso indirizzo email della sua finanziaria privata di Chicago. Una finanziaria, si apprende sempre da Appleby, «controllata da trust a beneficio dei figli di Penny Pritzker». Il consorzio le ha chiesto se queste scelte siano in linea con i requisiti etici richiesti dalle leggi federali. Ma Pritzker non ha risposto.

Per il Canada fa scalpore il nome di Stephen Bronfman, consulente e amico stretto del primo ministro Justin Trudeau. Secondo gli archivi di Appleby, Bronfman, che è miliardario, è in affari con Leo Kolber, una colonna del partito liberale ed ex senatore del Canada, e con il figlio di quest’ultimo. Dai documenti emergono trasferimenti di milioni di dollari in un trust delle isole Cayman. Manovre, via offshore, che potrebbero aver evitato di pagare imposte in Canada e negli Stati Uniti, secondo gli esperti consultati da Icij che hanno esaminato tremila documenti sull’attività del trust.

Mano a mano che le ricchezze offshore crescevano, secondo le carte di Appleby, avvocati di Bronfman e dei Kolbers premevano sul Parlamento canadese per bloccare proposte di legge finalizzate a tassare i trust offshore. Bronfman è un tesoriere fondamentale per Trudeau, che pure ha promesso un giro di vite contro l’elusione fiscale internazionale. In settembre Trudeau, all’assemblea generale delle Nazioni Unite, ha dichiarato: «Abbiamo un sistema che permette ai canadesi ricchi di ricorrere a società private per pagare tasse più basse di quelle pagate dalla classe media. Non è corretto, dobbiamo porvi riparo».

In una lettera mandata al partner canadese di Icij, la tv Cbc, gli avvocati di Kolber scrivono che «nessuna transazione è stata eseguita o decisa per evadere il fisco». Limitandosi ad aggiungere che «i trust rispettano le leggi applicabili».

LE REGINE E I MINISTRI IN PARADISO
Tra i clienti degli studi offshore compare la sovrana d’Inghilterra , ma anche Noor di Giordania, indicata come beneficiaria di due trust nell’isola di Jersey. Contattata, la regina della Giordania ha precisato che si tratta «lasciti destinati a lei e ai figli» dal defunto re Hussein, il padre di suo marito, «che sono stati sempre amministrati in base alle regole e ai più elevati standard etici e legali».

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Tra i 120 politici di tutto il mondo che risultano collegati a società offshore emergono molti nomi eccellenti. Come Sam Kutesa, ex ministro degli esteri dell’Uganda ed ex presidente dell’assemblea generale delle Nazioni Unite; il ministro delle Finanze del Brasile, Henrique de Campos Mireilles, presente nelle liste di Icij con una fondazione costituita nelle Bermude «per scopi caritatevoli»; Anantas Guoga, lituano, parlamentare europeo e giocatore professionista di poker: a lui fa capo una quota di un’offshore nell’Isola di Man, che vede, tra gli altri azionisti, un re del gioco d’azzardo, finito sotto indagine per frode negli Stati Uniti in una vertenza poi chiusa.

Alcuni dei tanti politici, sentiti da Icij, hanno risposto dando le loro giustificazioni. Sam Kutesa, tramite il quotidiano dell’Uganda “The Daily Monitor”, partner del consorzio, sostiene di non aver fatto nulla con le offshore: «Ho detto ad Appleby di chiuderle molti anni fa». Campos de Meirelles afferma che la fondazione da lui creata non avvantaggerà lui personalmente e sosterrà attività benefiche per l’istruzione dopo la sua morte. Mentre Guoga dichiara che il suo investimento in una società dell’isola di Man è stato segnalato alle autorità e di aver venduto le ultime azioni nel 2014.

La conclusione di questa nuova inchiesta giornalistica internazionale, secondo il consorzio Icij, è ben descritto nelle parole della studiosa Brooke Harrington: «Quando il ricco diventa più ricco, il povero diventa più povero, perché i ricchi non pagano la loro giusta quota di tasse».

FONTE: PAOLO BIONDANI, ALESSIA CERANTOLA, GLORIA RIVA, LEO SISTI, L’ESPRESSO


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