Intervista al ministro Orlando: “Riforma carceri prima di Natale”

Intervista al ministro Orlando: “Riforma carceri prima di Natale”

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Ieri un tunisino è stato espulso dall’Italia. Nel penitenziario di Sollicciano aveva più volte minacciato gli agenti, vantandosi di essere un «terrorista». E un anno esatto fa Anis Amri, un altro tunisino che aveva manifestato in prigione i primi segni di radicalismo islamico, si preparava a uccidere 12 persone a Berlino. In tutta Europa le carceri sono state la culla della violenza fondamentalista, ma il ministro della Giustizia Andrea Orlando ritiene che la nostra situazione sia meno allarmante.

«Da noi le seconde generazioni di immigrati cresciute nel disagio sono meno numerose e questo si rispecchia anche nella situazione carceraria. Le persone monitorate sono 506, ma solo per 150 si ipotizza un alto rischio di radicalizzazione mentre le altre vengono tenute d’occhio anche dopo segnali minimi. Grazie poi al coordinamento del Casa, il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, le informazioni della polizia penitenziaria vengono condivise con le altre forze dell’ordine per valutare al meglio le singole posizioni. In ogni caso, il rischio non deve essere sottovalutato».

Spesso alla radicalizzazione si arriva attraverso percorsi di disagio personale, come quello del ventenne Amri, e sotto la spinta di imam improvvisati o estremisti.

«Abbiamo disposto un programma, confrontandoci con altri paesi europei, che va oltre il monitoraggio e prevede un intervento psicologico. I detenuti che provengono da paesi musulmani sono circa 11mila e, anche se solo meno del 5 per cento viene monitorato a vario livello, garantire il culto è un fattore decisivo. Sia per impedire che questo argomento venga usato dagli estremisti per fare proselitismo, sia per evitare che i riti siano officiati da imam senza controllo. In carcere le dinamiche sono le stesse del mondo esterno: il degrado sociale aiuta la devianza e la clandestinità nel culto contribuisce all’uso distorto della religione come propaganda d’odio».

Nel 2014 Matteo Renzi presentò la riforma delle carceri come un punto chiave del programma di governo.

Lei poi l’ha portata avanti in solitudine: manterrà la promessa di vararla entro l’anno?

«I testi dei decreti attuativi sono da settimane a Palazzo Chigi e credo ci siano le condizioni per vararli prima di Natale: sarà all’ordine del giorno in uno dei prossimi Consigli dei ministri».

Il concetto di fondo di questa riforma è meno carcere e più pene alternative…

«Sì, viene valorizzato l’uso delle pene alternative durante l’esecuzione della condanna. Ma anche nel carcere si introduce maggiore responsabilizzazione: più occasioni di lavoro, di studio, di attività. Allo stesso tempo basta con gli automatismi: accedi agli sconti di pena e alle misure alternative solo se c’è un comportamento di responsabilità e segui percorsi di rieducazione».

Quali sono gli ostacoli? C’è un problema di fondi?

«I fondi sono già stati accantonati con la legge di bilancio. Abbiamo aumentato gli agenti reclutandone circa 2000, ci dovrebbero essere assunzioni di operatori sociali. Quello che manca è un ripensamento organizzativo e culturale. Spesso si crede che il carcere efficiente sia quello dove non succede nulla, spingendo i detenuti a comportamenti passivi che sono il presupposto alla recidiva. Io credo invece in un penitenziario dove si innova, si sperimenta, ci si assumono delle responsabilità permettendo di rieducare».

Le forze politiche non sembrano molto interessate alla realtà dei penitenziari, salvo quando si discute di detenuti eccellenti…

«La realtà del carcere non porta voti ed è spesso oggetto di banalizzazioni: è un grande luogo di esorcismo sociale; si pensa che una volta messa in prigione una persona, la società si è liberata del problema.

Questo è uno strumento retorico, di propaganda, senza comprendere che un carcere che non rieduca genera insicurezza: la recidiva rappresenta anche un uso poco razionale delle risorse pubbliche perché così la detenzione diventa solo un intervallo nella carriere criminale. Insomma si tratta di un tema importante non seguito dal dibattito politico. Per fortuna ci sono eccezioni, non da poco: i Radicali, associazioni comeAntigone. Credo che se si riuscirà ad arrivare all’approvazione della riforma molto lo dobbiamo all’attenzione del presidente emerito Napolitano, del Papa e del presidente Mattarella».

Siamo alle soglie della campagna elettorale, non teme che questa riforma che prevede la riduzione dell’uso del carcere possa venire fraintesa dagli elettori o impugnata dalla destra?

«Dobbiamo fare lo sforzo di spiegare bene che stiamo costruendo un modello di pena che crea più sicurezza e che è più conveniente per tutti.

L’esperienza della riforma degli istituti per minorenni ha raggiunto questo obiettivo: abbiamo un sistema con i tassi più bassi in Europa di recidiva. È un esempio che serve per raccontare quello che stiamo per fare in tutte le carceri».

Fonte: GIANLUCA DI FEO, LA REPUBBLICA



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