Guerra nello Yemen: triplicate le bombe Usa, 15mila i raid sauditi

by Chiara Cruciati | 22 Dicembre 2017 9:19

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E la peggiore previsione è stata «rispettata», ma non evitata: il colera ha contagiato un milione di yemeniti

Nella guerra invisibile a parlare sono i numeri, quelli delle bombe, dei morti, dei malati di colera. In mille giorni di offensiva saudita, sullo Yemen sono piovuti 15mila attacchi aerei. Il bilancio lo dà Save the Children che denuncia: il 92% dei raid su zone abitate (la stragrande maggioranza) hanno provocato vittime civili.

Ovvero, quasi ogni bomba sganciata dalla coalizione sunnita a guida saudita ha danneggiato la popolazione, ferendola, uccidendola, devastandone la casa o il posto di lavoro. E dunque lasciandola in un dramma infinito, che non si può più chiamare emergenza.

Perché è cronica: 4,5 bambini e donne incinte sono malnutriti, il 148% in più rispetto alla fine del 2014, prima che la guerra venisse lanciata; 462mila bambini sono gravemente malnutriti, +200%; 1.900 strutture mediche su 3.507 (54%) sono inagibili perché totalmente distrutti o parzialmente danneggiati; 4,5 milioni di minori non vanno più a scuola.

Numeri aberranti che si aggiungono a un dato pronosticato con ampio anticipo dalle organizzazioni internazionali, ma che non è stato comunque evitato: un milione di yemeniti è stato contagiato dal colera, la cui diffusione repentina è iniziata nell’aprile scorso e ha già ucciso 2.227 persone.

Basterebbe un’adeguata idratazione – un po’ d’acqua pulita, tesoro rarissimo nel paese privato di ogni infrastruttura fondamentale – per evitare altre vittime, contagiate da cibo contaminato e acqua non potabile.

Non si muore solo di colera: l’Organizzazione Mondiale della Sanità segnala anche la diffusione di febbre dengue e malaria. A nulla servono gli appelli delle organizzazioni umanitarie, mancando del tutto quelle dei governi e della stampa: lo Yemen non ha scatenato l’indignazione che ha caratterizzato altri conflitti.

Un’omertà globale che garantisce libertà di movimento all’Arabia saudita (comunque incapace di uscire dal pantano), ma anche agli alleati oltreoceano: con l’amministrazione Trump che con una mano firma contratti di vendita di armi a Riyadh pari a 110 miliardi di dollari e con l’altra chiede moderazione alla petromonarchia, il Pentagono fa sapere che nel 2017 – il primo anno di mandato del nuovo presidente – i raid Usa sullo Yemen sono triplicati. Sono stati 120, contro i 34 del 2016 e i 58 del 2015.

«Queste operazioni hanno aiutato a svelare le reti terroristiche, a raccogliere informazioni di intelligence, a realizzare operazioni sempre più produttive ed efficienti», dice il portavoce del commando centrale Usa. La strategia militare resta la stessa dell’era Obama: fare dello Yemen modello della guerra a distanza, con i droni, senza stivali sul terreno.

Le vittime, però, ci sono seppure occulte: il caso più eclatante fu quella della bimba di 8 anni, Nawar al-Awkali, uccisa a gennaio di quest’anno in un raid Usa insieme a 29 persone, di cui 10 donne e due bambini. E al Qaeda nella Penisola Arabica, la più potente filiale della rete, non arretra: grazie al vuoto di potere e alle alleanze di comodo con le forze pro-saudite ha assunto il controllo di interi distretti nell’est del paese.

FONTE: Chiara Cruciati, IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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