Non solo Como. Poveri e decoro urbano, l’Italia bipartisan delle delibere securitarie

Non solo Como. Poveri e decoro urbano, l’Italia bipartisan delle delibere securitarie

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L’Italia ha vissuto il boom del protagonismo delle città sulla sicurezza con l’ondata delle ordinanze seguite a un’innovazione legislativa nazionale, quella legge n. 125 del 2008 che all’articolo 54 attribuisce ai sindaci il potere di deliberare in difesa della incolumità pubblica e della sicurezza urbana. Per la prima volta questo termine è accreditato in una legge dello Stato, per altro rimanendo nel limbo di una definizione vaga, o meglio, come sottolinea la criminologa Tamar Pitch, tautologica: «Bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale» (Pitch, 2013).

Questa vaghezza darà ai sindaci ampio spazio di manovra, consentendo loro di sanzionare i comportamenti più diversi, arrivando a una arbitrarietà tale da costringere la Corte costituzionale, nel 2011, a porre un freno con una sentenza che stigmatizza alcune ordinanze come incompatibili «con il quadro costituzionale che tutela la libertà individuale da limitazione e abusi». Ma se la legge libera il potere dei sindaci di tutte le appartenenze politiche e produce una mole immensa di ordinanze, l’onda repressiva contro alcuni gruppi sociali data da ben prima, dagli anni Novanta del Novecento, quando il tema della sicurezza urbana entra nelle agende politiche soprattutto del Nord e del Centro Italia: il Comitato Città Sicure nasce a Bologna nel 1992, all’inizio cerca – anche grazie al contributo di studiosi e criminologi non certo adepti del securitarismo – soluzioni di tipo partecipativo e negoziale e ancorate a una idea di welfare capace di includere rispettando i diritti di tutti, «una sicurezza dei diritti di tutti voleva significare la priorità data a politiche locali inclusive, dove la prevenzione sociale si coniugasse sì ad azioni di controllo territoriale – la cosiddetta prevenzione situazionale – ma rimanesse centrale nel disegno degli interventi» (Pitch, 2013).

Buona intenzione franata molto rapidamente sotto i colpi del declino del welfare stesso, che selezionava e non includeva più, e gli imperativi della politica locale, dove, è bene ricordarlo, i sindaci vengono ora eletti direttamente dai cittadini. Politica locale basata su due concetti cardine, l’insicurezza percepita, che via via perde l’appiglio con i dati di realtà, alimentando paure pur smentite dai fatti, per esempio dai dati (in quegli anni decrescenti) della microcriminalità; e il decoro urbano, concetto anch’esso vago, che chiama in causa non reati o comportamenti aggressivi, ma il disturbo, la nuisance anglosassone, che può essere visivo, uditivo, fisico, morale (la decenza). Sempre Pitch: «Da quando i sindaci vengono eletti direttamente, il loro protagonismo si è moltiplicato e il loro impegno più visibile, soprattutto negli ultimi anni (non a caso quelli in cui le risorse per le politiche sociali sono drasticamente diminuite) si esplica attraverso ordinanze volte a ripulire la città in nome del decoro». E che cos’è una città pulita? «Per loro una città decorosa è una città dove miseria e marginalità non si vedono, dove germi e batteri portatori di contagio si identificano nei rom, nei mendicanti, nei lavavetri, nei venditori abusivi di strada, nelle prostitute, nel proliferare di negozi di cibo etnico» (Pitch, 2013).

Le metafore della pulizia entrano nella scena politica, si bonificano i quartieri dalle persone, si puliscono le strade dai corpi ingombranti, si vietano luoghi e spazi, si caccia e si confina.

 

Sindaci securitari. Cronologia del potere sulla sicurezza urbana

L’assunzione da parte della città del potere di penalizzare le povertà e “ripulirsi” dal disturbo fisico (all’ambiente) e sociale (relativo ai comportamenti) ha una storia che include sperimentazioni autonome, negoziazioni con il potere centrale, ampliamento di poteri locali, censure da parte dell’Alta Corte.

Queste le tappe principali:

  • 1994-1998: pressione dei sindaci per l’utilizzo delle polizie locali in funzione anticriminalità, conflitto con i poteri centrali di Prefetture e Interni;
  • 1998-1999: si apre il dialogo con il governo centrale, è l’epoca dei protocolli d’intesa tra Comuni e Prefetture e dei progetti per la sicurezza a livello comunale; ● 1998-2001: anni di negoziazione tra Comuni e Stato centrale, si approda alla riforma del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, in cui entrano di diritto sindaci e presidenti delle Province;
  • 2000-2005: a livello centrale approvazione del Pacchetto sicurezza, che inasprisce le pene sui reati predatori, incentiva operazioni di ordine pubblico sui territori e stipula di accordi di programma sulla sicurezza urbana tra città e Stato centrale;
  • 2006-2008: una vera escalation del discorso securitario nelle città, stipula dei Patti per la sicurezza tra governo e alcune città metropolitane (ne saranno firmati 70);
  • 2008, la svolta: nuovi poteri ai sindaci con il Pacchetto sicurezza del 2008 (Legge 24 luglio 2008, n. 125 di conversione del Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, recante “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”) che decreta i poteri dei sindaci in materia di: comportamenti di spaccio e consumo di droghe, prostituzione, accattonaggio, fenomeni di violenza, sfruttamento di minori e disabili, danneggiamento al patrimonio pubblico e privato, incuria, degrado, occupazioni abusive, pubblica viabilità, decoro urbano;
  • 2011: la Corte costituzionale (sentenza 7 aprile 2011, n. 115, sollevata dal TAR del Veneto) dichiara che il sindaco quale ufficiale del governo non può emanare dei provvedimenti in maniera che non sia contingibile e urgente, cioè non possono essere norme permanenti, perché creerebbero diseguaglianza di trattamento tra cittadini sul territorio nazionale e potrebbero essere in contraddizione con le leggi dello Stato. Tuttavia, l’emergenza continua a legittimare ordinanze securitarie che vengono adottate e reiterate con continuità, soprattutto nei Comuni più grandi;
  • dopo il 2011, nel processo di messa a regime delle politiche urbane securitarie, assumono crescente rilevanza i Regolamenti di polizia municipale, alla cui riforma ad hoc – a oggi non attuata – si rimanda per ovviare in via ordinaria ciò che le ordinanze possono fare solo extra legem e temporaneamente (Giovannetti, 2012).

 

Bersagli del decoro urbano e corpi da nascondere. Prostitute, tossici, rom e altri umani

In realtà, se è vero che i più poveri e i più marginali sono il “nemico perfetto”, apripista delle ordinanze, prima, e oggetto privilegiato dei Regolamenti di polizia locale, poi, è anche vero che l’approccio securitario investe comportamenti di massa quali quelli giovanili e le loro modalità di uso dello spazio pubblico, che la politica non è in grado (o non vuole) di governare con strumenti sociali e partecipativi. Leggendo, infatti, i dati relativi alla prima ondata di ordinanze che fece seguito ai nuovi poteri dei sindaci (2008), se il bersaglio principale sono le prostitute (il 15% delle ordinanze) e i mendicanti (l’8,4%), le ordinanze contro i giovani non sono da meno: consumo di bevande alcoliche e schiamazzi (la movida) e vandalismo (i graffiti) assommano a circa il 30% delle ordinanze (Cittalia-ANCI, 2009). Ma il restante 70% delle ordinanze e delle sanzioni è destinato a loro, quelli che sporcano le città: prostitute, tossicodipendenti, mendicanti, immigrati, questi ultimi in parte inclusi trasversalmente nei diversi target, in parte come attori di comportamenti specifici di sopravvivenza: commercianti abusivi e/o di merce contraffatta, venditori di bevande in strada, gestori di negozi etnici.

Se il boom delle ordinanze appartiene al 2008-2009, e i due anni successivi vedono un calo complessivo tra tutti gli 8094 Comuni italiani, le grandi città continuano invece a utilizzare la deliberazione locale come strumento emergenziale, e su questo non a molto è valsa la censura della Corte costituzionale, che dal 2011 vieta loro di fare delle ordinanze uno strumento ordinario di governo. Il fatto è che nell’approccio securitario l’emergenza (inclusa la sua temporaneità) è l’ordinario. La “pulizia” di luoghi e spazi pubblici attraverso l’espulsione di gruppi sociali e individui indesiderati è predominante nelle ordinanze comunali: all’interno di 500 provvedimenti esaminati da una ricerca di Cittalia-ANCI sull’anno 2010, vi sono 700 divieti o prescrizioni (che dunque implicano sanzioni) relativi a ciò che viene definito ordine sociale (le cui lesioni si chiamano inciviltà contro l’ordine sociale), che null’altro sono se non comportamenti umani, individuali o collettivi che urtano la sensibilità e la paura sociale e che, non essendo reati, vengono normati dalle ordinanze comunali. Colpiscono «comportamenti e condotte che possono violare, o favorire la violazione degli standard di convivenza concernenti lo spazio pubblico e una certa regolazione convenzionale del tempo sociale nonché standard di cura e mantenimento del territorio» e riguardano «nel 68% dei casi, il mercato dell’intrattenimento e l’uso dello spazio pubblico da parte delle masse giovanili, le richieste dei questuanti, i comportamenti non penalmente rilevanti di tossicodipendenti, spacciatori, prostitute di strada, nonché vagabondi» (Giovannetti, 2012).

Il fatto che comportamenti non penalmente rilevanti diventino sanzionabili significa che i Comuni si fanno ormai stabilmente protagonisti di un processo pervasivo di penalizzazione della società e dei suoi gruppi più fragili.

 

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Questo testo è un estratto dal 13° Rapporto sui diritti globali, realizzato dalla associazione Società INformazione e dalla sua redazione. Il Focus del secondo capitolo, curato da Susanna Ronconi,  è dedicato alla criminalizzazione delle povertà di cui riproponiamo qui alcuni paragrafi, di decisa attualità nei giorni in cui a Como un’ordinanza del sindaco ha imposto di non fornire aiuto e bevande calde ai poveri costretti a vivere in strada.

Qui un altro estratto dal Focus.

Qui  scaricabili l’indice generale del volume, la prefazione di Susanna Camusso e l’introduzione di Sergio Segio.

Il Rapporto integrale può essere acquistato in libreria o richiesto all’editore Ediesse



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