Su Gerusalemme il Guatemala corre in appoggio a Trump e Netanyahu
GERUSALEMME. Donald Trump e Jimmy Morales, fino a un paio d’anni fa un palazzinaro amante della bella vita e un attore comico con poco talento, poi catapultati dal voto popolare rispettivamente ai vertici della superpotenza Usa e del malandato Guatemala, si sono messi in testa di segnare il futuro di Gerusalemme, nodo centrale della questione israelo-palestinese. Dopo il riconoscimento fatto dalla Casa Bianca lo scorso 6 dicembre di Gerusalemme capitale d’Israele, seguito dall’annuncio che l’ambasciata statunitense sarà trasferita da Tel Aviv nella città santa – non è chiaro quando -, due giorni fa Morales ha comunicato che anche il Guatemala sposterà la sua sede diplomatica. «Ho dato istruzioni al ministro (degli esteri, Sandra Jovel) di intraprendere i passi» per attuare questa decisione, ha scritto il presidente sul suo profilo Twitter. Morales poco prima aveva avuto un colloquio telefonico con Benyamin Netanyahu. «Uno dei temi più importanti del colloquio con il primo ministro israeliano è stato il ritorno dell’ambasciata di Guatemala a Gerusalemme», ha fatto sapere Moraes, sottolineando le «eccellenti relazioni» tra i due Paesi «da quando il Guatemala ha sostenuto la creazione dello stato di Israele». Da parte sua Trump non è rimasto a guardare. Dopo aver minacciato apertamente i Paesi membri dell’Onu che hanno votato contro gli Usa sulla questione di Gerusalemme, il tycoon è passato all’attacco ordinando il taglio di 285 milioni di dollari dei fondi americani destinati alle Nazioni Unite nel bilancio 2018-19 (oltre cinque miliardi di dollari che gli Usa nel 2017 hanno coperto per il 22%). «Non permetteremo più che si approfitti della generosità del popolo americano», ha avvertito l’ambasciatrice Nikki Haley, braccio armato dell’Amministrazione Usa al Palazzo di Vetro, facendo intendere che altri risparmi sono all’orizzonte per ridurre «l’inefficienza e l’eccesso di spese da parte dell’Onu». Washington il prossimo anno uscirà dall’Unesco, un passo che farà anche Israele.
Il Guatemala è stato uno dei nove Paesi a votare contro la risoluzione con cui l’Assemblea Generale dell’Onu – con 128 voti favorevoli – la scorsa settimana ha condannato la dichiarazione di Trump contraria al diritto internazionale. In realtà, come riferiva ieri il quotidiano Haaretz, Morales sposterà l’ambasciata in Israele solo quando lo faranno gli Stati uniti, quindi ci vorranno almeno due-tre anni. Ma conta l’annuncio. L’effetto domino è stato immediato. Altri due Stati centroamericani, da sempre giardino degli Stati Uniti e legati a doppio filo a Israele, sono pronti a seguire Trump e Morales. Honduras e Panama – che, come il Guatemala, all’Onu hanno votato contro la risoluzione anti-Trump – avrebbero già informato l’Autorità nazionale palestinese della loro intenzione di trasferire le ambasciate a Gerusalemme. Tegucigalpa in particolare ha ulteriormente stretto le relazioni con Tel Aviv e lo scorso anno il presidente Juan Orlando Hernandez ha annunciato un ampio accordo militare che vede Israele impegnato a rafforzare e addestrare le forze armate honduregne. Sulle orme di Morales ci sono altri Stati che hanno votato contro la risoluzione dell’Onu, e, pare, due Paesi europei: Slovacchia e Romania.
«Dio ti benedica, amico mio, presidente Jimmy Morales, Dio benedica entrambi i nostri Paesi, Israele e Guatemala». Così Netanyahu ha ringraziato e lodato il presidente del Guatemala. Più significative e cariche di contenuto ideologico sono state le dichiarazioni, fatte alla radio israeliana, dalla vice ministra degli esteri Tzipi Hotovely. «Gli Stati Uniti sono il fattore scatenante che sta mettendo in moto ogni cosa – ha spiegato – grazie al fatto che, nel corso degli anni, abbiamo insistito nel sostenere i nostri principi e abbiamo rifiutato di pagare un prezzo (per il riconoscimento di Gerusalemme, ndr) o di scambiarlo per guadagni diplomatici, come la sinistra ha sollecitato in tutti questi anni». Ciò – ha concluso la vice ministra degli esteri – «è un nuovo mondo che pensa in modo diverso sulla maggior parte delle questioni in Medio Oriente. Ecco perché siamo arrivati a questo straordinario successo». Hotevely in sostanza dice che diplomazia e negoziati sono roba del passato e che, grazie a Trump e a un mondo che guarderebbe al Medio Oriente in modo nuovo, la legge internazionale non avrà più valore.
Il ciclismo intanto riserva qualche dispiacere al governo Netanyahu, uno degli sponsor della partenza del Giro d’Italia da Gerusalemme il prossimo 4 maggio. Ahmet Orken, un ciclista molto famoso in Turchia ha lasciato la squadra israeliana – l’Israel Cycling Academy – in cui militava, in risposta al riconoscimento Usa di Gerusalemme come capitale d’Israele avversato da Ankara. «Ho deciso di lasciare la squadra per la mia famiglia e il mio paese», ha detto Orken. «E’ stata una decisione che ho preso da solo», ha spiegato il ciclista che con il suo team avrebbe dovuto partecipare alle prime tre tappe del Giro 2018, una a Gerusalemme e due in Israele.
FONTE: Michele Giorgio, IL MANIFESTO
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