Kobanê. Istruzione in tre lingue: così costruiamo la società pluriculturale

by Ednan Osman Hesen, Global Rights Magazine | 27 Dicembre 2017 18:11

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Tra le priorità della ricostruzione e normalizzazione della vita nella città di Kobanê c’è sicuramente l’educazione e l’attenzione a bambini ed adolescenti. I bambini sono sempre il futuro e la continuità del mondo e quindi anche della trasformazione delle loro comunità. Le parole della responsabile di questo importante ambito della vita delle persone, è la professoressa Nisrîn Kenan. Ha solo 27 anni ed è la ministra dell’istruzione dell’intero Cantone di Kobanê. In questa intervista la ministra ci parla della situazione educativa nella città e nel cantone, di quello che si è ricostruito, di quello che manca. E soprattutto ci racconta con entusiasmo dell’innovativo modello linguistico e culturale che si sta costruendo in Rojava, basato sul rispetto e il riconoscimento delle comunità che vivono nei tre cantoni autonomi.

Ministra, che cosa faceva prima della guerra e qual è il suo ruolo adesso?

Prima della Rivoluzione di Rojava studiavo amministrazione d’impresa. Quando è cominciata la Rivoluzione ho iniziato a lavorare come professoressa e sono stata per tre anni membro della direzione dell’organizzazione di promozione della lingua kurda. Quando è cominciata la battaglia di Kobanê, a settembre 2014, sono stata costretta a fuggire con la mia famiglia nel Kurdistan del Nord, come la maggior parte dei miei concittadini.

 

Lì, nel campo profughi di Pirsûs (Suruç in turco) abbiamo organizzato e aperto scuole provvisorie, in tende, per garantire ai nostri bambini una continuità minima dei loro studi. Dopo la liberazione di Kobanê, a gennaio 2015, l’organismo di educazione mi ha proposto come Presidenta del Dipartimento di Educazione del cantone e per questo, dal 1 settembre del 2015 dirigo il sistema educativo del cantone, tanto importante per noi.

 

Ci hanno detto che ha una passione particolare per la letteratura…

Sì, quello che più amo è la letteratura kurda e soprattutto la letteratura orale. Per questo ogni volta che posso visitare qualche villaggio o piccola frazione, mi dedico a raccogliere letteratura orale kurda e ad ascoltare per ore e ore i dengbej (cantastorie).

 

Ci puoi descrivere la situazione attuale di Kobanê in termini di sicurezza?

La sicurezza della città in questo momento è buona, per varie ragioni: le forze di sicurezza e le Unità di Difesa del Popolo proteggono la città 24 ore al giorno. Anche la gente fa la sua parte e ha imparato a difendersi: ognuno di noi è consapevole del fatto che è nostra responsabilità proteggere e garantire la sicurezza della città. Siamo riusciti a respingere ed allontanare i militanti dell’ISIS. Oggigiorno non ci sono bande dello Stato Islamico nei dintorni della città e dei villaggi limitrofi. C’è qualche tentativo di aggressione da parte dello stato turco, però la Turchia non può prendere tanto facilmente la decisione di invadere Kobanê. Così direi che ci troviamo in una situazione abbastanza sicura e lo dimostra la gente che sta ricostruendo, come può, le sue case.

 

Passando all’istruzione e al sistema educativo, ci può dare alcuni dati?

La battaglia ha distrutto quasi tutte le scuole di Kobanê. Prima degli scontri c’erano in città 18 scuole elementari. Dopo la vittoria, abbiamo cominciato ricostruendo inizialmente tre scuole. Tra il 2016 e il 2017 ne abbiamo costruite altre. Siamo riusciti a restaurare, ricostruire e riaprire 12 scuole in totale. In città ci sono ancora 6 scuole che hanno bisogno di essere ricostruite quasi totalmente.

 

Il numero di studenti, in città, è di 15 mila. Le aule sono poche e abbiamo 35-40 studenti per classe, il che come sappiamo non garantisce un buon livello di insegnamento perché le classi dovrebbero essere di 15 alunni. I professori nella zona urbana sono 500.

 

A questo dobbiamo aggiungere la realtà dei villaggi che hanno una popolazione superiore a quella della città. Attorno a Kobanê ci sono 660 villaggi e frazioni. La maggior parte delle scuole che esistevano prima della guerra, sono state bruciate e distrutte. Fino a questo momento siamo stati in grado di visitare circa 400 villaggi e in questi abbiamo aperto scuole o comunque abbiamo attrezzato delle aule. In totale nella zona rurale ci sono 28.662 alunni e 1.412 professori.

 

Come dicevo, in realtà, quando parlo di scuole nei villaggi mi riferisco piuttosto a tende nelle quali abbiamo attrezzato aule minime. L’Autonomia Democratica non è ancora riuscita a garantire una scuola in ogni villaggio.

 

Ci descrive una ricostruzione che funziona soprattutto grazie alla forza di volontà e capacità gestionale delle istituzioni locali. Però quali sono i bisogni materiali, in una situazione di carenza estrema?

Forse questa è la domanda più importante. La verità è che abbiamo bisogno di tutto. Tutto è importante per i bambini di Kobanê. Per esempio, dopo il ritorno degli abitanti nelle loro case, come dicevo, il Ministero dell’Istruzione è riuscito ad aprire alcune scuole, ma non siamo riusciti a soddisfare i bisogni minimi dei bambini: ci sono libri, ma sono pochi e non abbiamo ancora una casa editrice che possa stamparli, mancano banchi, quaderni, strumenti minimi di laboratorio, per non parlare di computer e attrezzature più sofisticate, strumenti musicali. Se dovessi indicare una priorità in ogni caso direi che c’è bisogno di una nuova scuola.

 

State costruendo un nuovo sistema educativo e culturale e state spendendo molte risorse su questo. Assolutamente in controtendenza con quanto avviene in molti paesi occidentali dove i tagli colpiscono prima di tutto proprio l’istruzione e la cultura.

Perché la cultura e l’educazione sono così importanti nella costruzione di un nuovo modello di governo?

Ogni popolo, ogni comunità e nazione esiste a partire dalla sua propria cultura, dalla sua lingua. Esistono un’etica, tradizione, memoria, convinzioni ecc. La lingua è identità, è memoria. Ogni popolo ed ogni nazione ha una cultura diversa, un modo di vedere differente.

 

La cultura e la lingua si modellano, si sviluppano, si formano con l’istruzione. Gli occupanti del Kurdistan hanno sempre vietato l’istruzione, la cultura e l’uso della lingua nei loro tentativi di annientarci.

Alla base della nostra filosofia c’è l’accettazione dell’altro, rafforzarci a vicenda, completarci tra tutti, progredire, crescere insieme, migliorarci, non distruggerci né combatterci.

Com’è organizzato il sistema educativo in Rojava?

Il nostro sistema di istruzione si articola attraverso il comitato della Società Democratica per l’Istruzione (KPC-Democratic). Questo comitato di coordinamento è formato da tredici persone.    C’è un rappresentante degli insegnanti, uno dell’amministrazione, uno delle accademie culturali. Gli studenti e i genitori contribuiscono alla gestione delle scuole. Ogni anno svolgiamo una conferenza e ogni due anni celebriamo il congresso generale. Tutte le decisioni riguardanti l’istruzione si propongono e si decidono in questi incontri.

 

Il modello d’istruzione che praticate è plurilingue e pluriculturale. Come si concretizza questa proposta?

Abbiamo tre lingue ufficiali, di modo che tutto il sistema si organizza sulla base di un curriculum in tre lingue materne differenti. I bambini studiano nella loro lingua materna fino al terzo grado, poi nel quarto tutti cominciano ad imparare anche le altre due lingue ufficiali del cantone, e a partire dal quinto grado viene introdotta anche una lingua straniera. In questo modo, quando escono dalle superiori i nostri alunni conoscono oltre alla loro lingua materna, almeno altre due o tre lingue.

 

Com’era il sistema educativo prima della Rivoluzione in Rojava?

Fino al 19 luglio 2012, quando si è preso il controllo della città, i bambini di Kobanê erano educati secondo il sistema del regime del Ba’ath, tutto in lingua araba. Parlare in kurdo o altra lingua era vietato. La situazione è cambiata ma sono sorte anche nuove difficoltà. Siamo una nazione che ha sofferto un genocidio culturale, morale e materiale e improvvisamente abbiamo la storica opportunità di costruire noi stessi, in campo amministrativo, educativo, ma allo stesso tempo abbiamo sofferto un embargo, una guerra. E questo significa che siamo stati costretti a costruire tutto allo stesso tempo, anche se obbligatoriamente abbiamo posto l’enfasi sulla difesa militare per respingere gli attacchi contro la popolazione e per poter garantire la sua sicurezza.

 

A che punto si trova la ricostruzione della città?

Ci sono molte difficoltà nella ricostruzione, economiche, tecniche, di assenza di materiali. I governi e le organizzazioni per i diritti umani dovrebbero concretizzare le promesse di aiuto che ci hanno fatto.

Quanto più appoggio riceviamo quanto più rapidamente la città e i suoi cittadini potranno tornare a recuperare una vita normale, e i bambini di questa nazione potranno scrivere la storia della resistenza di Kobanê e mostrare al mondo come si può sconfiggere l’ISIS, cosa che molti non sono riusciti a fare.

La città si è sacrificata per il bene dell’umanità e ha ottenuto la vittoria con il sangue di tanti suoi figli e figlie.

 

QUI[1] L’INTERO NUMERO DEL MAGAZINE GLOBAL RIGHTS #5 2017, SFOGLIABILE O SCARICABILE, IN ITALIANO, INGLESE, SPAGNOLO

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