Il vescovo di Torino: «Whirlpool fermi i licenziamenti: in ballo c’è il futuro di 560 famiglie»

by Maurizio Pagliassotti | 10 Gennaio 2018 9:55

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Il vescovo Nosiglia: «Questi lavoratori hanno fatto tanto per l’azienda, non è giusto metterli da parte»

È rimasto nel tendone che da quattro mesi presidia il cancello principale della Embraco di Riva di Chieri, Cesare Nosiglia, il vescovo di Torino.

Circondato da 560 lavoratrici e lavoratori che rischiano di essere licenziati entro pochi giorni. Nosiglia al termine dell’incontro ha detto che coinvolgerà nella vertenza papa Francesco: «Scriverò al papa, chiederò udienza per voi. Il Signore, ricordate, può tutto». Più concretamente ha aggiunto: «Chiederò un incontro con la Whirlpool, devono accettare il confronto. Speravo di vederli oggi ma non è stato possibile. Io voglio rispetto per questi lavoratori e queste famiglie. Hanno fatto tanto per questa azienda ora non possono essere messi da parte solo perché ci sono delle difficoltà. State tranquilli, farò tutto quello che posso».

IL VESCOVO VOLEVA entrare dentro la stabilimento per incontrare nella mensa una delegazione di lavoratori: «Ma non è stato possibile». «Chi pensa di risanare l’azienda licenziando i lavoratori è come se vendesse la sua gente. Non c’e democrazia, giustizia, equità e solidarietà senza lavoro. È una questione sociale da risolvere», ha concluso Nosiglia.

La Embraco di Riva di Chieri è un’azienda storica del settore del bianco: produce compressori e motori per i frigoriferi. Venti anni fa, quando faceva parte del gruppo Fiat, aveva oltre 2.500 operai, oggi i superstiti 500 vedono scemare giorno dopo giorno la possibilità di salvare il posto di lavoro. I padroni attuali, riconducibili alla multinazionale Whirlpool, sono apolidi e senza volto, vivono e «lavorano» un po’ in Brasile e un po’negli Stati Uniti, e da oltreoceano cancellano produzioni e lavoro, spostando le linee laddove il saggio di profitto assicurato dall’esercito di riserva è più corposo.
Riva di Chieri rischia, nella migliore delle ipotesi, che il personale venga dimezzato, nella peggiore che venga spedito a casa con un licenziamento collettivo. Il 15 gennaio si conoscerà la volontà dell’azienda.

TUTTO RUOTA INTORNO al numero di compressori che verranno riconosciuti alla produzione italiana: un numero troppo basso, meno di un milione, significa mancata saturazione dell’impianto, inaccettabile calo dei profitti per gli azionisti globali, licenziamento per tutti.

Così da oltre quattro mesi gli operai presidiano i cancelli dell’immenso capannone che si affaccia sui campi del chierese, un tempo territorio ricco di lavoro, oggi depressa appendice della depressa città adiacente. I lavoratori controllano che le linee non vengano smontate e portate via: e per questo sono stati perfino denunciati dalla proprietà. Che poi si è accorta dell’enormità di un passo simile e ha generosamente, probabilmente loro pensano così, ritirato la denuncia.

A CAPODANNO LAVORATORI, lavoratrici, famiglie, sindacalisti, amici erano nel parcheggio della fabbrica, nel tendone dove ieri il vescovo ha fatto il suo appello al papa. Stappavano bottiglie di fiele e mangiavano fette di amaro panettone. Un brindisi con i bicchieri di carta, nel gelo di fine anno, con la speranza che il 2018 portasse notizie più serene. Ma il nuovo anno sta invece allungando ombre minacciose, scaturenti dal silenzio della proprietà, che non fa sapere quali intenzioni abbia a pochi giorni dalla data che potrebbe aprire la fase dei licenziamenti collettivi.

Che la situazione sia molto seria è testimoniato dalla presenza, ieri, dell’assessore al commercio di Torino Alberto Sacco: la giunta pentastellata finora è stata defilata, atteggiamento notato dai lavoratori. L’assessora regionale al lavoro Gianna Pentenero, anch’essa ieri presente, riassumeva la situazione con queste parole: «L’azienda continua a non dire nulla, aspettiamo che si muova il ministero».

UGO BOLOGNESI, responsabile della Embraco per la Fiom, segue da tempo la vicenda: «È una delle vertenze più gravi e impattanti d’Italia. A questo punto serve l’intervento del governo perché rischiamo di avere circa 500 famiglie sul lastrico. L’azienda non risponde, ed è incomprensibile questo atteggiamento. Anche perché la Embraco ha goduto in passato di risorse pubbliche, e oggi non può andarsene così». Bolognesi si riferisce ai fondi elargiti da Finpiemonte, la finanziaria della Regione Piemonte, per la riqualificazione del personale.

L’ultima speranza, ed è tutto dire, è nel ministro dello Sviluppo Carlo Calenda: affinché eserciti una pressione politica sulla proprietà, al fine di trovare una soluzione non brutale come quella che si prospetta.

FONTE: Maurizio Pagliassotti, IL MANIFESTO[1]

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