La Tunisia di nuovo in rivolta, contro carovita e povertà

La Tunisia di nuovo in rivolta, contro carovita e povertà

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La società civile sfida le leggi di emergenza, governo in difficoltà. Il collettivo #Cosa aspettiamo? e la sinistra radicale cavalcano la protesta sociale

A pochi giorni dal settimo anniversario della Rivoluzione dei Gelsomini, le proteste di piazza che tornano ad agitare la Tunisia con un morto, barricate di pneumatici in fiamme, saccheggi, scontri diffusi tra manifestanti e polizia in almeno una dozzina di città, raccontano di un paese in cui poco è cambiato dalla caduta del regime di Ben Ali a oggi, almeno sotto il profilo sociale.

ALLE “SOLITE” RICHIESTE di lavoro e giustizia sociale si somma ora l’indignazione per l’aumento dei prezzi – benzina, telefonia e quindi internet alcuni dei generi di “prima necessità” colpiti – determinato dal varo dell’ultima legge finanziaria. Ad alimentare l’esasperazione nei confronti del governo di Youssef Chahed c’è anche il fatto che dopo gli attentati jihadisti del 2015 si è assistito non solo al crollo delle entrate del turismo, ma anche a una stretta sui diritti fondamentali – in Tunisia da allora vige lo stato d’emergenza -, compreso quello di manifestare.

Assume così un significato ancora maggiore il modo in cui la protesta di questi giorni è dilagata dalla capitale a Gafsa, passando per Thala, Feriana, Sbeitla, per Kasserine e altri centri dell’omonimo governatorato, zona sempre calda del malcontento sociale. Una marcia c’è stata anche a Sidi Bouzid, dove divampò la rivolta che nel 2011 finì per travolgere Ben Ali, dando la stura alle cosiddette «primavere arabe». Decine i feriti e gli arresti.

A Sousse, Bizerte e Tunisi la polizia avrebbe fermato diversi membri del collettivo #Fech Nestanou («Cosa aspettiamo?» in arabo), che alimenta la protesta con volantini, campagne social e tag murali. Ieri è tornato a riunire centinaia di persone davanti al Teatro municipale di Tunisi e per i prossimi giorni annuncia un evento nazionale a cui aderisce anche il movimento Menich Msamah («Non perdono»), che lotta contro la legge per il rientro agevolato dei patrimoni portati all’estero dopo il 2011.

MOLTO ATTIVO anche il leader della sinsitra “radicale” e del Fronte popolare Hamma Hammami, che lancia l’idea di una manifestazione il 14 gennaio – anniversario dei «gelsomini» – contro le «misure che distruggono il potere d’acquisto dei cittadini». Riguardo all’anarchia in cui sono degenerate alcune proteste, Hammami ha invitato a non generalizzare: «Bloccheremo chiunque voglia screditare questo movimento sociale», ha detto.

Negli scontri, che in alcuni casi sono proseguiti la notte, non sono mancati gli assalti a negozi e banche. Ad esempio nella cité di Hay Ettadhamene, sobborgo della Grand Tunis nato in modo informale negli anni ’70; e a Tébourba, dove un uomo di 43 anni è stato ucciso – informano fonti della sicurezza – dai gas lacrimogeni inalati.

OLTRE ALLE PIAZZE BOLLENTI e ai partiti di opposizione che alzano la voce, il governo si trova a dover gestire almeno un paio di grane politiche potenzialmente esplosive: da un lato le critiche della principale confederazione sindacale, l’Union générale tunisienne du travail (Ugtt), che fin qui aveva sostenuto Chahed; dall’altro il divorzio consumatosi tra i due principali partiti della maggioranza, Nidaa Tounes e gli islamisti di Ennahdha.

FONTE: Gina Musso, IL MANIFESTO



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