Habib Kazdaghli: in Tunisia «molto resta ancora da fare» sette anni dopo

by Stefano Mauro | 12 Gennaio 2018 14:55

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«Libertà d’espressione, elezioni, costituzione… In questo siamo avanti rispetto ad altri paesi arabi. Resta però da contrastare la disoccupazione giovanile, vera piaga del paese»
«Sette anni dopo la Rivoluzione dei Gelsomini il paese conosce un nuova era di libertà politiche, intellettuali e culturali, ma sono necessarie riforme economiche serie per contrastare i motivi delle crescenti tensioni sociali, come quelle riesplose in questi giorni».

A sostenerlo è Habib Kazdaghli, preside della facoltà di Studi umanistici di Manouba (Tunisi), autore di diversi studi sulla storia contemporanea della Tunisia, i movimenti comunisti nel Maghreb e la storia delle minoranze etniche nel paese. Kazdaghli, inoltre, è l’uomo-simbolo dei diritti delle donne e della resistenza contro l’avanzata wahabita nelle università: impegno che gli è costato minacce di morte da parte dei gruppi più radicali.

Sette anni dopo la Rivoluzione che ha cacciato il dittatore Ben Ali, a che punto è la transizione politica tunisina?

Dopo la cacciata di Ben Ali il paese è entrato in una nuova fase della sua storia democratica che dura ancora oggi, nel settimo anniversario. Bisogna ricordare che altri paesi (Egitto, Yemen, Bahrein, Siria, Libia ecc) hanno avuto un’onda simile di proteste, ma solo la Tunisia, con le sue criticità, continua a celebrare la sua rivoluzione e la transizione democratica. Come scriveva Gramsci «la crisi permane quando l’anziano muore e il nuovo tarda a nascere». Se facciamo un rapido bilancio, però, tanto è stato fatto: libertà d’espressione, elezioni, costituzione, governo e presidente della repubblica eletti democraticamente, successi nella lotta al terrorismo, guerra civile evitata grazie al dialogo nazionale… Ma molte altre cose restano da fare: elezioni municipali e soprattutto riforme economiche per contrastare la disoccupazione giovanile, vera piaga del paese.

La coalizione Nidaa Tounes– Ennahdha governa il paese in maniera efficace o c’è il rischio di una deriva autoritaria come denunciato dalle proteste di questi giorni?

Il termine coalizione, a mio avviso, non è quello più adatto per definire la coesistenza tra due forze opposte, una conservatrice (Ennahdha) che ha accettato un confronto in chiave democratica e l’altra progressista (Nidaa Tounes) che non ha ottenuto la maggioranza per governare ( 86 seggi su 109 per la maggioranza, ndr). Questa è stata una soluzione che si può considerare “alla tunisina” per evitare una pericolosa impasse politica dopo le legislative del 2014 e scongiurare il rischio di una guerra civile. Il Governo di unità nazionale (Gun), nato dalla firma del «documento di Cartagine» e dalla spinta del quartetto che ottenne il Nobel, raggruppa però forze differenti senza un preciso programma di sviluppo cosa che ha causato l’attuale crisi politica, la decisione di concorrere divisi alle prossime elezioni e le recenti scelte economiche errate e reazionarie.

Di quali mali soffre la popolazione oggi e quali i cantieri per rilanciare l’economia?

Il cammino per arrivare a un vero stato di diritto a livello politico, sociale ed economico è lungo anche a causa dell’alto livello di corruzione, clientelismo e del contrabbando lasciato dal regime. La principale vittima di questo passaggio democratico è stata l’economia. Le principali risorse del paese, turismo, agricoltura ed esportazione di fosfati, hanno avuto un crollo a causa soprattutto del terrorismo e della mancanza di investimenti esteri. Le tensioni sociali, l’alto tasso di disoccupazione e leggi come la recente finanziaria con l’aumento dei prezzi sui beni di prima necessità rischiano di compromettere il percorso di transizione democratica.

Qual è il ruolo delle forze politiche di sinistra, raggruppate nel Fronte Popolare, in questo periodo di transizione e cosa dovrebbero cambiare nella loro azione politica?

Anche se la Tunisia ha potuto adottare una nuova costituzione e organizzare elezioni democratiche, la fragilità della transizione politica ed economica dovrebbe spingere a una maggiore coesione sulle priorità del paese. Penso che le forze di sinistra dovrebbero cercare di essere maggiormente propositive, anche nei confronti di Nidaa Tounes, orientando in questo senso lo sviluppo economico del paese e lottando contro il carovita o riforme reazionarie. A ragione, Fronte popolare e Ugtt (principale sindacato tunisino, ndr) si stanno opponendo, però, ad un aumento dei prezzi dei beni di prima necessità alle volte anche del 300%!

La Tunisia è stato uno dei principali fornitori di jihadisti, se ne contano circa 5mila che hanno raggiunto organizzazioni terroristiche come l’Isis o al Qaeda. Come lo spiega?

La Tunisia è oggi un laboratorio politico “a cielo aperto” ed è l’unico paese a rappresentare una speranza per i popoli arabi, visto che tutte le «primavera arabe» sono fallite. E paradossalmente siamo il paese che ha fornito il più alto numero di jihadisti. La spiegazione non è semplice. Ci sono stati due fattori. Il primo è legato alle difficoltà economiche e sociali dei nostri giovani disoccupati, senza prospettive e attirati dalle risorse economiche delle organizzazioni terroriste. Il secondo è stato l’incoraggiamento, quasi ufficiale, di cui hanno beneficiato i gruppi jihadisti durante il governo di Ennahdha (2011–2014), con l’ingresso di numerosi predicatori wahabiti che hanno convinto i giovani a raggiungere i fronti di lotta contro i nemici dell’Islam e sostenere il partito islamista. La pressione della società civile, una maggiore efficienza degli apparati di sicurezza e la forte determinazione delle forze politiche laiche hanno fatto indietreggiare il terrorismo nel paese.

Qual è la situazione attuale, dopo la caduta dell’Isis in Siria e Iraq e come combattere la deriva jihadista nel paese?

Il pericolo principale per la Tunisia resta principalmente la Libia e la sua situazione di instabilità politica, visto che abbiamo oltre 500 km di confine desertico facilmente permeabile. Il governo tunisino è determinato a contrastare il fenomeno jihadista anche se necessiterebbe di un maggiore sostegno europeo, a livello economico e finanziario, per una migliore azione di contrasto del fenomeno non solo repressiva, ma anche rieducativa, proponendo delle prospettive migliori alle giovani generazioni. Questo sarebbe anche di aiuto per evitare pericoli di “autoritarismo”, come lo stato d’emergenza utilizzato ininterrottamente dal governo.

Dove va oggi la Rivoluzione dei Gelsomini del 2011?

Bisogna prima di tutto capire se il Governo di unità nazionale resterà fino alla fine della legislatura nel 2019. Il nostro paese, comunque sia, sta conoscendo una nuova era di libertà politiche, intellettuali e culturali. Sono numerosi i movimenti sociali che stanno nascendo come i festival e le manifestazioni di cinema, teatro e musica. Il 2018 sarà fondamentale per due motivi: le prime elezioni municipali dal 2011 si svolgeranno il prossimo 6 maggio (con 350 consigli comunali e oltre 7000 consiglieri) e la nascita della Corte Costituzionale visto che oltre a dotare il paese di una nuova costituzione bisogna, poi, applicarla e assicurare la conformità delle sue leggi. Saranno, inoltre, fondamentali le riforme economiche, non nell’ottica dell’austerità e del carovita imposti da questa legge finanziaria, ma di una reale crescita occupazionale, in modo da rendere irreversibile il processo democratico cominciato il 14 gennaio 2011

FONTE: Stefano Mauro, IL MANIFESTO[1]

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