La visione di Trump sul mondo: Salvador Haiti e Africa sono «cessi»

by Marina Catucci | 13 Gennaio 2018 9:26

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NEW YORK. I  migranti si dividono in due: da una parte chi proviene dai paesi shit hole come Haiti, Salvador e l’Africa, dall’altra quelli, ben più appetibili, che arrivano dalla Norvegia.

QUESTA LA GEOGRAFIA secondo Trump, stando a quanto ha affermato davanti a un gruppo di parlamentari, tra cui il repubblicano Lindsey Graham e il democratico Richard Durbin, i due senatori che più di tutti stanno lavorando a una soluzione bipartisan per evitare l’espulsione dei salvadoregni e gli haitiani rifugiati negli Usa per via di catastrofi naturali, e dei Dreamers, arrivati bambini negli Stati uniti a seguito di genitori illegali.

La lezione di geografia e flussi migratori Trump l’ha impartita ai due senatori durante quella che i media americani hanno chiamato «un’imboscata» avvenuta nello Studio Ovale dove con il presidente c’erano i rappresentanti più destrorsi in circolazione, come il senatore dell’Arkansas Tom Cotton.

Ed è stato ascoltando la proposta ragionevole di Graham e Durbin, che Trump sarebbe sbottato, aggiungendo: «Perché avremmo bisogno di più haitiani? Toglieteli da qualunque accordo».

DOPO IL PREVEDIBILE terremoto provocato dalla (nuova) peggiore uscita di sempre da parte del presidente Usa, è arrivata puntuale la smentita: «Il linguaggio che ho usato al meeting sul Daca è stato duro – ha detto Trump – ma non ho usato quelle parole Quello che è stato veramente duro è stato ricevere una proposta così stravagante». La stravaganza si riferisce alla proposta non sfacciatamente razzista a cui i due senatori stavano lavorando, e tutti i commentatori americani hanno aperto i programmi sottolineando questo aspetto: «Il presidente degli Stati uniti è un razzista», facendo prendere posizione anche ai personaggi più moderati.

PROBABILMENTE TRUMP dopo un anno alla Casa bianca non ha ancora capito che il confine tra una discussione nello Studio Ovale e la chiacchierata al bar non è così sottile, forse glielo faranno capire le dimissioni polemiche dell’ambasciatore Usa a Panama, John Feeley, che andandosene ha dichiarato: «Come funzionario del ministero degli esteri ho firmato un giuramento di servire il presidente e la sua amministrazione senza farmi condizionare dalla politica, anche se posso non concordare con certe scelte. Le mie istruzioni sono chiare: se ritenessi di non poter più servire, sarebbe per me un obbligo d’onore dimettermi. Questo momento è arrivato adesso». Anche l’Onu non ha dubbi nel definire le parole di Trump per quello che sono: dichiarazioni razziste.

Per il vice segretario dell’African Nation Congress, Jesse Duarte, sono «parole allarmanti e estremamente offensive».

IN QUESTO CLIMA Trump ha annullato la visita ufficiale a Londra che avrebbe dovuto fare a fine febbraio per inaugurare la nuova ambasciata americana.

Per giustificarsi, su Twitter, «The Donald» ha scritto di aver deciso così in quanto «non sono un grande fan del fatto che l’amministrazione Obama abbia venduto per “noccioline” quella che forse era l’ambasciata più bella e nella posizione migliore a Londra, solo per costruirne una in un altro posto per 1,2 miliardi di dollari. Brutto affare. Volevano che fossi io a tagliare il cordone? NO!»

POCO IMPORTA che a decidere di chiudere e vendere la vecchia ambasciata sia stato George W. Bush; la motivazione più probabile è che non se la sia sentita di affrontare il bagno di contestazioni che gli stavano preparando a Londra.

Fuori dagli Stati uniti l’opposizione più radicale a Trump si trova proprio nel Regno unito: più di un parlamentare aveva dichiarato la propria opposizione a un suo discorso al Parlamento; il sindaco di Londra, Sadiq Kahan, musulmano di origini pakistane, più volte attaccato personalmente da Trump, aveva minacciato di rifiutarsi di incontrarlo.

Probabilmente ora toccherà al segretario di stato Tillerson affrontare i britannici, scaldati dalle dichiarazioni di «The Donald».

FONTE:Marina Catucci,  IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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