Grosse Koalition in Germania, la governabilità über alles

by Marco Bascetta | 16 Gennaio 2018 9:33

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Così la leggendaria stabilità del sistema tedesco avrebbe ancora una volta superato la prova più dura. Il «senso di responsabilità» dei grandi partiti di massa verso l’interesse nazionale prevarrebbe ancora sui timori per l’inesorabile declino di consensi che li affligge.

La tranquilla forza della Repubblica federale si mostra intatta.

Ma le cose stanno davvero così? Per quel che valgono i sondaggi, a caldo la metà dei tedeschi valuta negativamente la bozza di accordo tra Cdu, Csu e Spd per il varo di un ennesimo governo condiviso. Molti gli scontenti tra le fila della Socialdemocrazia, con la federazione giovanile, gli Jusos, pronti a dare battaglia. Di certo la riedizione della Grande coalizione contraddice in pieno le linee di tendenza espresse dall’elettorato nelle elezioni di settembre. Tanto che ormai in Germania, così come in diversi paesi europei, la governabilità è diventata una variabile indipendente dai risultati elettorali. L’aritmetica istituzionale contraddice sempre più frequentemente quella democratica.

Vittima di un duplice vincolo: la salvaguardia indiscussa delle politiche neoliberiste e la necessità di fronteggiare l’imbarbarimento xenofobo e nazionalista, con il rischio, mai definitivamente scongiurato, che queste due tendenze scendano a patti, come accade nel centrodestra italiano.

Sankt Martin non ha fatto nessun miracolo in questo estenuante negoziato: il bottino portato a casa dai negoziatori socialdemocratici è piuttosto magro: la maggiore progressività della tassazione resta tabù, un tetto (incostituzionale) all’accoglienza dei profughi è stato di fatto stabilito, anche se il Galateo di Angela Merkel vieta di chiamarlo con il suo nome. Quanto ai grandi investimenti sociali promessi resta tutto da vedere di che cosa si tratterà in concreto, al di la di un modesto aumento degli assegni familiari.

L’accordo di venerdì è più di una premessa: è infatti poco probabile che il congresso straordinario della Spd di domenica prossima e la successiva consultazione degli iscritti sbarri il passo alla riedizione della Grosse Koalition. Nondimeno la discussione potrà mostrare quanta vitalità residua permanga in un partito abituato da decenni a non contemplare alternative o deviazioni dall’ordoliberismo germanico. E nel quale la speranza di poter recuperare consensi da una posizione di governo è tutt’altro che sopita.

La via della conflittualità politica e dell’opposizione appartiene a una cultura da troppo tempo dismessa nei suoi aspetti sostanziali.

Assai più agevole si annuncia la consultazione sul versante conservatore, ampiamente rassicurato sul tema dell’immigrazione e comunque restio a sopportare incertezze e maggioranze variabili. Insomma, se la Grande coalizione non suscita entusiasmi da nessuna parte di certo sembra essere ancora considerata più tollerabile di altre soluzioni da un numero di cittadini comunque sufficiente.

L’Europa, comprensibilmente, tira il fiato. La fallita coalizione con i liberali avrebbe certamente comportato un irrigidimento dell’interesse nazionale tedesco a scapito della solidarietà comunitaria. La piattaforma della nuova Grosse Koalition ha invece un’impronta decisamente europeista. Su questo piano Martin Schulz non poteva non far pesare la sua biografia politica europea. Questa volta si parla di trasferimenti di risorse, programmi e istituzioni comuni, di una buona ricezione del messaggio di Macron.

È questo l’aspetto più promettente dell’accordo tra Merkel, Seehofer e Schulz. Difficilmente la Germania rinuncerà alle sue inclinazioni egemoniche e alla sua specifica interpretazione dell’ordine comunitario, anche se è lecito attendersi che l’ex presidente del Parlamento europeo lavori ad attenuarne l’impatto. C’è tuttavia in questa ulteriore sottolineatura europeista una netta e apprezzabile chiusura nei confronti delle pulsioni nazionaliste e della demagogia che le alimenta, senza farsi sopraffare dal timore di perdere ulteriori consensi.

Sarebbe sbagliato disprezzarla come un atto di semplice ossequio all’Europa dei capitali o stigmatizzarla come una mancanza di rispetto per la sfera nazionale della democrazia. Certo il contenuto sociale delle politiche europee non è garantito dall’alto, è tutto da conquistare.

Né può dipendere da questa o quella formula di governo.

FONTE: Marco Bascetta, IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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