Francesca Re David: «Maggiori tutele e formazione. E la politica ridia valore al lavoro»

Francesca Re David: «Maggiori tutele e formazione. E la politica ridia valore al lavoro»

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Il nuovo governo dovrebbe lavorare per rendere meno ricattabili i lavoratori

È morto anche Giancarlo Barbieri, di 62 anni, il quarto operaio coinvolto martedì nel grave incidente alla Lamina di Milano: prima di lui avevano perso la vita altri tre colleghi. Ma ieri è stato un giorno funesto pure per la morte di Luca Lecci, un ragazzo di soli 19 anni, ucciso nell’azienda del padre, a Brescia, dopo essere rimasto incastrato con la manica del maglione a un tornio. La Fiom, insieme a Fim e Uilm, sfilerà oggi a Milano per chiedere più sicurezza. In piazza ci sarà anche la segretaria generale Francesca Re David.

Cosa chiede il corteo?

Ci muoveremo da San Babila alla prefettura, insieme alle delegazioni provenienti da tutta la Lombardia e da diverse parti d’Italia. Abbiamo indetto anche uno sciopero e in molte fabbriche si terranno assemblee sulla sicurezza. Diciamo innanzitutto che è incredibile che ancora si possa morire sul lavoro, nonostante le nuove tecnologie, la possibilità di attivare allarmi e procedure di salvaguardia. Eppure negli ultimi anni gli infortuni, anche quelli mortali, sono in aumento.

Negli ultimi anni si è avviata anche una ripresa dopo la lunga crisi, la produzione industriale ha ricominciato a crescere. Sono aumentati i posti di lavoro, seppure a termine. In questo contesto la sicurezza viene trascurata?

Negli ultimi 10 anni abbiamo avuto quasi 14 mila morti sul lavoro in Italia. L’anno scorso 632 nei luoghi di lavoro, e quasi 1400 se consideriamo anche quelli in itinere. Nel 2018 siamo già a quota 32. I settori più colpiti sono l’edilizia, l’agricoltura, l’industria metalmeccanica. Nel nostro comparto i più frequenti sono tra i precari e negli appalti: perché mancano gli investimenti sulla formazione, e gli stessi lavoratori sono più ricattabili. Chi è a termine è ovviamente più sotto pressione, ma non dimentichiamo che anche agli altri – ai più garantiti – capita di fare 12 ore di lavoro. Sono aumentati i posti – il famoso «milione» di cui parla il governo – ma nel contempo sono diminuite le ore, i lavoratori sono più poveri e più precari.

Nel caso di Milano, due operai sono andati in soccorso dei colleghi svenuti: e a loro volta hanno perso conoscenza. Il ragazzo morto a Brescia si è incagliato al maglione. Se i primi avessero conosciuto delle procedure standard, e il secondo avesse indossato una tuta, forse le cose sarebbero andate diversamente.

Sui singoli casi indaga la magistratura, ma in senso più generale si dovrebbero applicare le procedure standard e utilizzare i dispositivi di sicurezza che sicuramente esistono. Il fatto è che spesso vengono sottovalutati: perché spontaneamente vuoi salvare il collega, o perché c’è troppa pressione. Si dovrebbe investire di più sulla formazione, sulla prevenzione, e sui mezzi di contrasto non solo immediati, ma anche di salvaguardia. Se l’azoto è inodore ed è finito l’ossigeno, perché non si installa ovunque ci sia bisogno un rilevatore che possa avvisare del pericolo?

Una vostra piattaforma sulla sicurezza, da presentare alle imprese e al governo?

La prima parola è investimenti: non devono essere considerati costi, ma la base primaria perché una impresa possa essere autorizzata a lavorare. Poi potremmo lavorare insieme, con le imprese e gli ispettorati, aprire dei tavoli locali. Dal governo, dal premier in giù, apprezzo i messaggi di cordoglio, però non ha senso poi fare delle leggi che rendono più precario, e quindi insicuro, il lavoro.

Gli ultimi dati Inps sui contratti in effetti confermano il trend crescente dei rapporti a termine, mentre sembra essere sparito da tutti i radar il tempo indeterminato. 

I soli incentivi, senza politica industriale e investimenti, hanno prodotto lavoro povero e precario. Più ricattabile, come ho detto. Ma anche i nuovi contratti a tempo indeterminato, con il Jobs Act e dopo la cancellazione dell’articolo 18, sono di fatto precari. Aggiungo che strumenti come i premi a chi fa meno infortuni, invece di spingere a investire sulla sicurezza, fanno sì che gli incidenti vengano nascosti.

Il dibattito attuale in campagna elettorale vi fa ben sperare o vi sentite lasciati soli?

Il mondo del lavoro non si sente rappresentato ormai da molto tempo, ed è un problema enorme perché le leggi sul lavoro le fa il Parlamento. Negli ultimi anni su lavoro e pensioni si è fatta cassa in assenza di politiche industriali, e la legislazione ha aumentato la precarietà. La Cgil ha avuto il merito di riportare le pensioni al centro già mesi fa, al di là dei risultati ottenuti al tavolo con il governo, e poi con i referendum abbiamo acceso un faro sui voucher e i nuovi precari. La nostra impostazione rimane quella della Carta dei diritti universali del lavoro, ci impegniamo perché sia realizzata.

Due idee, una positiva e una negativa, tra le tante espresse in campagna elettorale.

Premesso che guardo con grande cautela le promesse fatte in campagna elettorale, valuto positivamente gli impegni per smantellare il Jobs Act e riaffermare l’articolo 18. Non sono d’accordo, invece, con l’idea di salario minimo, perché mette a rischio la tutela collettiva garantita dai contratti.

FONTE: Antonio Sciotto, IL MANIFESTO

 



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