Intervista a Vincenzo Colla. Il sindacato del futuro ha i piedi piantati in terra e lo sguardo globale

Intervista a Vincenzo Colla. Il sindacato del futuro ha i piedi piantati in terra e lo sguardo globale

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Per Vincenzo Colla, segretario confederale della CGIL, l’uscita dalla crisi può essere un’opportunità importante per rilanciare un modello di crescita e sviluppo che punti a ridurre le diseguaglianze. Una possibilità sulla quale è indirizzata tutta la CGIL, assieme a tutto il sindacato europeo. Guardando però sia alle proprie radici – il modello di coesione sociale dell’Emilia-Romagna – che alle innovazioni più recenti, l’innovazione tecnologica di Industria 4.0 vista come opportunità e non come rischio.

 

Rapporto Diritti Globali: A dieci anni dalla Grande Recessione del 2007 gli effetti della crisi hanno creato ovunque disuguaglianza e allargato la forbice fra la popolazione più ricca e la stragrande maggioranza dei lavoratori. Si potrà mai recuperare questo gap?

Vincenzo Colla: A questa domanda una organizzazione come la CGIL non può che rispondere positivamente, in quanto è nella nostra natura e nei nostri valori misurarci sui temi delle disuguaglianze soprattutto in questa fase storica segnata da dieci anni di crisi. Bisogna però andare oltre una dichiarazione solo volontaristica e per fare questo occorre vedere dentro le criticità con cui dobbiamo misurarci a partire da oggi in avanti. I dati attualmente ci parlano di un recupero della quantità di occupazione ante crisi con circa 23 milioni di occupati. Già dentro questo dato possiamo leggere nuovi problemi come l’aggravarsi della condizione giovanile, il peggioramento della qualità occupazionale, il Mezzogiorno che diversamente dal Centro-Nord non ha recuperato la quantità occupazionale pre-crisi, in quanto alcune prime elaborazioni dei dati ISTAT segnalano la mancanza di oltre trecentomila posti di lavoro al Sud a fronte di un aumento della quantità occupazionale della stessa dimensione nel resto del Paese, l’aumento della povertà anche in presenza di un lavoro, fattore che obbliga a ripensare il welfare.

Il governo sembra volere perseguire una strada di riduzione strutturale del cuneo fiscale per i più giovani per la durata di tre anni. In sostanza, una politica di incentivi traguardata alle imprese. Oltre le obiezioni della CGIL su un approccio di questo tipo, possiamo segnalare quelle di chi come Eugenio Scalfari segnalano la necessità di interventi strutturali sul cuneo fiscale di dimensioni ben diverse di quelle a cui pensa il governo e tali da presupporre misure fiscali sul lato delle risorse di natura patrimoniale. A questa obiezione se ne può aggiungere un’altra e cioè: se l’intervento è solo dal lato delle imprese questo può farci riprendere un sentiero di crescita e della sua qualità o, all’opposto, non si rischia solo incentivando le imprese uno spreco di risorse e una mancata ricaduta sul lato degli investimenti e dell’occupazione? Non possono essere derubricati, quindi, da una discussione che vuole contrastare le disuguaglianze i temi degli investimenti pubblici, del welfare per contrastare la povertà e fare politiche di inclusione, l’investimento su scuola e formazione. Per fare questo occorrerebbe uscire da una rappresentazione che, in sostanza, dice che abbiamo fatto bene fino a ora rimettendo in piedi il Paese e che occorre continuare aumentando le risorse disponibili che la nuova fase mette a disposizione, senza esagerare per non compromettere il rapporto con l’Europa.

 

RDG: L’uscita dalla crisi – certificata dagli istituti internazionali, dalla BCE e della Commissione UE – è arrivata dopo anni in cui la crescita europea, in special modo quella italiana, si è mantenuta a livelli molto bassi. Così come l’inflazione e, dunque, gli aumenti salariali. È possibile immaginare una nuova strada per portare a una crescita globale e una distribuzione della ricchezza più equilibrata?

VC: È possibile seguire una strada diversa che porti crescita e redistribuzione seguendo la strada proposta dai sindacati europei e italiani nel nostro caso. I contratti nazionali e aziendali devono portare a un aumento dei salari e i governi europei, e il nostro per quanto ci riguarda, dovrebbero, come chiede la Confederazione Europea dei Sindacati (CES) con la sua campagna per l’aumento dei salari, sostenere queste politiche. La strada non può essere, come sostengono Mario Draghi e la BCE, quella degli aumenti aziendali legati alla produttività. Questo per il nostro Paese significherebbe tagliare fuori oltre il 90 per cento delle imprese che stanno sotto i dieci dipendenti e qualcosa come il 50 per cento dell’occupazione.

 

RDG: Il rischio però è che all’orizzonte ci sia una nuova bolla finanziaria negli Stati Uniti, in Europa e questa volta anche in Cina. Sono solo “cassandre” o il rischio è reale? Come si può evitare una nuova crisi globale?

VC: Il rischio è reale, perché la finanza, dopo la prima fase critica, è ritornata a fare il lavoro che faceva prima del 2007 e le modifiche alla normativa che sta facendo Donald Trump negli Stati Uniti segnalano e chiudono sul piano politico questo cerchio. Inoltre, la ricchezza finanziaria è ancora di gran lunga superiore al prodotto interno lordo dei Paesi e questo rappresenta un indice del pericolo segnalato nella domanda. Le politiche quindi non dovrebbero allentare i controlli più stringenti decisi nel momento più alto della crisi e dovrebbero puntare su misure di sostegno all’economia reale a partire dagli investimenti in grado di conseguire un equilibrio tra ricchezza reale e moneta in circolazione.

 

RDG: La CGIL ha appoggiato, aderito e cofinanziato parecchie ricerche internazionali presenti in questo volume – sui diritti dei lavoratori nel mondo, sulla filiera dell’abbigliamento, sulla lotta dei “difensori” della terra. Che importanza date a queste esperienze e alla loro divulgazione?

VC: Un’importanza fondamentale. Per diverse ragioni, la prima delle quali è costituita dalla dimensione internazionale di queste ricerche che costituisce una componente strategica per costruire risposte progressiste al tema delle diseguaglianze. Per fare solo un esempio dei temi citati nella domanda, e cioè quello dei diritti dei lavoratori nel mondo, pensiamo alla salute e sicurezza, alla ripresa degli infortuni, mortali e non, nel nostro Paese, alla questione delle malattie professionali. La preoccupazione per l’Italia è fondata, ma questo non deve trascurare la necessità che sulle questioni più importanti bisogna stare nelle proprie realtà e assieme a questo avere una visione che non sia solo domestica. Quest’impostazione, con i piedi per terra nel proprio Paese ma con lo sguardo alto al contesto internazionale, costituisce una delle chiavi per costruire il sindacato del futuro.

 

RDG: A far da contraltare ai dati sulla povertà c’è l’automatizzazione della cosiddetta Industria 4.0. Come si pone il sindacato davanti al rischio che il progresso tecnologico rischi di far diminuire pesantemente il numero dei posti di lavoro nei prossimi anni?

VC: Sul rapporto occupazione-tecnologia ci interroghiamo da sempre e abbiamo nel nostro Paese da tempo la convinzione che il luddismo non paga e alla fine aggrava le condizioni di chi lavora. Esistono ricerche internazionali che hanno quantificato la distruzione di lavoro che le nuove tecnologie digitali comporteranno e la compensazione solo parziale del nuovo lavoro con una perdita netta di occupazione. Mi permetto di obiettare che però si tratta di analisi statiche, in quanto non si comprende come si possa oggi determinare un limite quantitativo alle potenzialità di creazione di nuova occupazione delle tecnologie digitali. Proprio il carattere pervasivo delle nuove tecnologie digitali, proprio la loro caratteristica di aggredire tutti i settori dovrebbero indurci a investire tempo e risorse nella progettazione di prodotti/servizi volti non solo a beni commerciali e di mercato, ma a nuovi beni d’uso che colgano nuove domande degli uomini e delle donne di oggi. Per usare un linguaggio marxista, non solo valori di scambio ma anche valori d’uso. L’Italia, proprio per le sue caratteristiche, potrebbe essere uno dei luoghi della terra dove combinare fattori tecnici e fattori umanistici che, secondo alcuni, costituiscono quella che si definisce innovazione tecnologica.

 

RDG: Venendo a temi più italiani, la disintermediazione sociale portati avanti prima dai governi Berlusconi, poi da quello Monti e infine da Renzi e Gentiloni come ha modificato il ruolo del sindacato? Crede che nel futuro potrà mai tornare la concertazione, magari basata su nuovi presupposti?

VC: Innanzitutto, direi che i presidenti del Consiglio citati costituiscono nelle loro scelte e nei loro rapporti con le rappresentanze sociali forme diverse, se così si vogliono chiamare, di disintermediazione. Detto questo, non appare realistico un ritorno alla concertazione, troppe cose sono cambiate sia sul versante istituzionale che sociale e la crisi ha modificato il terreno su cui poggiano i nostri piedi. Per il sindacato la strada maestra è quella di una ripresa di autorità contrattuale partendo da quanto fatto in questi dieci anni di crisi, dove nel nostro Paese le migliaia di intese che hanno consentito di affrontare la crisi mantenendo un minimo di legame sociale tra i lavoratori e i tanti accordi di rinnovo dei contratti nazionali e aziendali hanno contrastato la caduta della domanda e gli stessi livelli di povertà purtroppo crescenti. Questo è alternativo alla costruzione di proposte che guardino agli interessi generali? Certo che no. Per costruire un progetto d’insieme, però, le istituzioni devono fare la loro parte e non perseguire progetti e parole d’ordine che dividono invece di unire, pensiamo alla contrapposizione giovani/anziani e ad altro di simile.

 

RDG: Lei proviene dall’Emilia-Romagna, una terra che si è sempre contraddistinta per l’attenzione alla coesione sociale e all’innovazione. Il “modello emiliano” pare però in crisi: il crollo verticale della partecipazione politica e il calo del differenziale della crescita rispetto al resto del Paese non sono il segnale di un adeguamento al quadro nazionale?

VC: Il riferimento alla Emilia-Romagna mi consente di precisare che in questa regione le istituzioni e le parti sociali, anche in questi anni di crisi, hanno tenuto un confronto e un rapporto che giudico positivo e che ha portato ad atti importanti in materia di lavoro, appalti, legalità, gestioni di eventi traumatici come il terremoto del 2013. Sul piano economico, credo che anche la regione Emilia-Romagna rispetto ai dati nazionali ultimi citati nella risposta alla prima domanda, oggi abbia una quantità occupazionale superiore a quella del 2008 come le regioni più avanzate del Nord e diversamente dal Mezzogiorno. Per quanto riguarda la partecipazione politica mi pare che le ragioni di un suo calo siano riconducibili a processi di natura interna e internazionale, che però dipendono più dal versante politico istituzionale. Ne approfitto per richiamare e valorizzare quanto abbiamo fatto per misurare la nostra rappresentanza e rappresentatività ai fini di firmare contratti che si applicano a tutti i lavoratori. La prima misurazione sarà disponibile nel maggio 2019 e rappresenta una riforma della rappresentanza sociale che può dare fiducia ai processi di partecipazione politica. In sintesi: se esistono fattori di omogeneizzazione delle diverse esperienze mi pare che le differenze rimangano e che vadano capite bene e che questo debba valere per tutti i territori.

 

RDG: Gli effetti della crisi mettono ulteriormente in contrapposizione giovani e anziani alimentando un conflitto generazionale sempre più percepito. Al sindacato si imputa di rappresentare soprattutto gli interessi dei pensionati – la maggioranza dei vostri iscritti – quali sforzi state portando avanti per sindacalizzare i giovani?

VC: Non sembri strano se affermo che si tratta di una questione non nuova. Già Antonio Gramsci ci aveva ammonito e anche negli anni Settanta abbiamo assistito a processi di contrapposizione persino violenti. Quale è la novità di oggi e cosa si sta facendo da parte nostra? La novità di oggi è che processi di contrapposizione sono stati prima sollevati sul piano culturale e poi adottati e utilizzati dalla politica. Si sono costruiti su questa contrapposizione percorsi politici e persino leader politici, come è noto. Da parte nostra, abbiamo provato a difendere il lavoro di tutti, di tutte le generazioni. Abbiamo rinnovato i contratti per tutti, per tutte le generazioni. Abbiamo contrastato politiche di riduzione dei diritti e dei costi dei licenziamenti sulle quali gli stessi autori di quelle riforme stanno oggi riflettendo. Se le nuove assunzioni sono per i tre quarti a tempo determinato questo conferma che il tempo indeterminato nei fatti non c’è più e che questo si scarica soprattutto su chi è più giovane. Siamo un’organizzazione che, anche da sola, si è impegnata su interinali, collaboratori, tempi determinati cercando sempre e, in alcuni casi, riuscendo a considerarli uguali alle forme di lavoro più stabili. Da anni svolgiamo un lavoro incessante nei settori più esposti come gli appalti, la logistica, l’agricoltura, i call center, le cooperative spurie. Abbiamo, da ultimo, rinnovato il nostro gruppo dirigente, portando ai massimi livelli di direzione giovani e donne ogni qualvolta possibile. Possiamo certamente fare di più e meglio. È uno dei temi del nostro prossimo congresso.

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 Vincenzo Colla: è segretario confederale della CGIL. Nato ad Alseno di Piacenza nel 1962, Vincenzo Colla ha iniziato la propria esperienza sindacale nel 1980 come delegato di un’azienda metalmeccanica ed è entrato nella segreteria provinciale della FIOM di Piacenza nel 1985. Due anni dopo è stato eletto segretario generale della stessa categoria e nel 1996 è diventato segretario generale della CGIL piacentina.

Nel 2002 è passato nella segreteria della CGIL Emilia-Romagna, in cui ha diretto il Dipartimento organizzazione per otto anni. Dal 5 luglio 2010 è Segretario Generale regionale, carica che è stata confermata nel corso del XI Congresso Regionale, tenutosi a Riccione nel marzo del 2014.

Il 29 novembre 2016 è stato eletto nella segreteria nazionale della CGIL.

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Riportare i diritti nel lavoro. Leggi qui la prefazione di Susanna Camusso al 15° Rapporto

Il vecchio che avanza. Leggi e scarica qui l’introduzione di Sergio Segio al 15° Rapporto

La presentazione alla CGIL di Roma

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Qui si può ascoltare il servizio di Radio Articolo1 curato da Simona Ciaramitaro

Qui un articolo sul Rapporto, a pag. 4 di ARCI-Report n. 37

Qui un articolo sul Rapporto, da pag. 13 di Sinistra Sindacale n. 21

Qui la registrazione di Radio Radicale della presentazione del 15° Rapporto a Torino, il 31 gennaio 2018

Qui un’intervista video a Sergio Segio e Susanna Ronconi sui temi del nuovo Rapporto

Qui l’articolo di Sergio Segio “L’apocalisse e il cambiamento possibile”, da Appunti n. 23, 1/2018

 



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