IL WELFARE DI COMUNITÀ DI CASA MANCHESTER

IL WELFARE DI COMUNITÀ DI CASA MANCHESTER

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Questo brano proviene del 15° Rapporto sui diritti globali, in particolare dal nuovo capitolo titolato “In comune”, curato per il Rapporto dalla redazione di Comune-info.

Come è scritto nell’introduzione del capitolo, cambiare il mondo è dunque necessario.  In questo nuovo capitolo del Rapporto sui diritti globali presentiamo e raccontiamo dieci casi, esperienze – che spaziano dall’Italia, all’Europa, al mondo – o anche solo suggestioni concrete che ci mostrano come possa essere anche possibile.

Il filo conduttore è quello di una ricerca che parte dal proprio territorio e dalle proprie relazioni. Assieme, è la consapevolezza che i fili che si riconoscono e si intrecciano danno forma e forza alla rete.

Una forma che è collegamento e allo stesso tempo sostegno, reciprocità.

Si potrebbe anche dire speranza.

Di certo, ovunque in modi diversi, gruppi di persone, quasi sempre lontano dalle attenzioni dei grandi media, hanno smesso di delegare il cambiamento o di cercare leader e, pur tra inevitabili limiti e contraddizioni, dimostrano che è possibile “aprire crepe nei muri”, qui e ora.

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Le persone prima del profitto

All’ingresso della sede di Manchester Home Care, un grande cartello colorato avverte: Putting people before profit. «Le persone prima del profitto», per questa cooperativa sociale specializzata nel settore dell’assistenza sociale e in servizi di welfare locale di Wythenshawe (il più grande quartiere di Manchester, noto per essere separato dalla città da una fascia di campagna), è molto più di uno slogan con cui decolonizzare il proprio immaginario. Ogni giorno gli 800 soci-lavoratori della cooperativa cercano di dare significato alla parola autogestione, ogni giorno sperimentano un servizio fino a qualche tempo impensabile come quello degli “infermieri di comunità”, ogni giorno rifiutano le logiche del profitto sfidando addirittura le multinazionali sanitarie.

Per capire l’importanza del lavoro di questa cooperativa bisogna guardare il contesto territoriale, nazionale e internazionale in cui si muove e sbirciare all’interno della sua vita quotidiana, un’importante palestra di democrazia e di cambiamento sociale.

In Europa una massiccia azione di privatizzazione e di affidamento a privati di servizi pubblici si è sviluppata a partire dall’era Thatcher (azione sostenuta da governi progressisti come quello di Tony Blair) ma anche a causa delle più recenti misure di austerity. All’inizio del 2017 almeno venti ospedali in Inghilterra hanno dichiarato la black alert, il massimo allarme. La crisi, deflagrata agli inizi di gennaio, si è manifestata con il più classico segnale del fallimento del sistema: «Ospedali che non riescono a ricevere più i malati, dipartimenti di emergenza che scoppiano, chirurgia di elezione sospesa a tempo indeterminato (compresa quella oncologica), chiusura dei reparti di maternità» (Maciocco, 2017).

 

L’industrializzazione della salute

La distruzione del welfare è in realtà solo una parte di un problema enorme e complesso: il ruolo crescente delle multinazionali in questo settore, la totale dipendenza dei pazienti dalle istituzioni mediche nei processi di cura, l’idea che il corpo sia un assemblaggio di organi da riparare-eliminare-sostituire come i pezzi di ricambio di un autoveicolo (Calabria, 2014), l’eliminazione della fragilità, la separazione della salute dal contesto ambientale e sociale in cui vivono gli individui, l’idea che la salute sia qualche cosa che si compra e non che si fa insieme, l’iperspecializzazione della medicina e il suo matrimonio con il dio profitto (Cacciari, 2013) hanno di fatto trasformato il significato di concetti come medicina, salute e cura. «Benché non sia mai stata tanto potente da un punto di vista tecnico e scientifico, né tanto avanzata nella conoscenza teorica e pratica, paradossalmente, e contemporaneamente, la medicina non si è mai trovata tanto lontana dal suo obiettivo storico: vincere la malattia» (Benasayag, 2010).

Che fare? Difficile trovare soluzioni nell’immediato, di sicuro occorre rompere con la dittatura dell’industrializzazione della salute e sperimentare tante strade diverse. Rivendicare i servizi di welfare non serve, di certo non basta. Scriveva già nel 1977 Ivan Illich: «Solo un programma politico diretto a limitare la gestione professionale della sanità può permettere alla gente di recuperare la propria capacità di salvaguardarsi la salute, tale programma è parte integrante di una critica e limitazione sociale del modo di produzione industriale» (Illich, 1977).

 

Accade a Manchester

In Inghilterra, ad esempio, mentre tutto ciò ha causato un diffuso malcontento in ampie fasce dell’opinione pubblica, a causa delle preoccupazioni relative alla riduzione della qualità dei servizi, contemporaneamente ha anche creato delle opportunità per le mutue, le cooperative e le aziende sociali per emergere come un’alternativa rispetto alle imprese private tradizionalmente orientate solo a fare profitti. Mentre affrontavano tagli dei fondi e privatizzazioni, molti enti locali e istituzioni pubbliche hanno preso la decisione di affidare compiti di loro competenza a cooperative e società mutue esterne purché avessero un approccio centrato sulle persone e di tipo democratico. In tutto il Paese diverse esperienze di welfare locale, spesso in modo poco visibile, hanno cominciato a promuovere una consistente riscoperta dell’autogestione e queste nuove iniziative rappresentano un forte elemento di inclusione sociale. In ogni caso, esperienze come Manchester Home Care, segnalano con evidenza che questo tipo di iniziative richiedono un alto livello di impegno politico e una comunità disponibile alla creazione di nuove forme di welfare locale di prossimità.

Manchester è una città con un’economia relativamente ricca e spesso viene considerata la seconda città dopo la capitale. Tuttavia, malgrado l’apparente prosperità economica, le condizioni sanitarie non sono distribuite equamente. I servizi sono pesantemente concentrati nelle zone più ricche (quelle rurali del Cheshire e del Lancashire e nel sud della Cumbria), mentre esistono aree di povertà estrema nelle aree del Greater Manchester e nel Merseyside, nonché all’interno delle stesse città di Manchester e Liverpool. Wythenshawe, il distretto di Manchester dove sono collocati gli uffici Home Care, costituisce in particolare un’area con livelli di povertà particolarmente elevati.

 

I pionieri di Rochdale

La città fa parte di un territorio nel quale il movimento cooperativo è particolarmente forte, cosa non sorprendente data la presenza dei Pionieri di Rochdale, la prima storica cooperativa nata nel 1844 (Rochdale è un sobborgo di Manchester), per iniziativa di un gruppo di operai tessili. Siamo dunque nella regione dove è nato il movimento cooperativo come risposta dal basso alla violenza della rivoluzione industriale.

Oggi Manchester è considerata da molti come il punto centrale delle cooperative in Inghilterra, in quanto sono presenti con le loro sedi molti organismi nazionali e grandi organizzazioni cooperative. La più grande cooperativa del Regno Unito, “Il Gruppo Cooperativo”, ha sede in questa città. È una cooperativa di consumo con oltre otto milioni di membri e opera in molti settori di vendita al dettaglio, compresi il cibo, i viaggi e i funerali. Ha iniziato a funzionare come cooperativa nel 1863, come cooperativa che distribuiva beni all’ingrosso ai suoi membri, ma che poi si è evoluta fino a diventare una cooperativa di consumatori. Il movimento cooperativo inglese ha avuto una grave crisi nel 2013, quando il Gruppo Cooperativo giunse quasi al fallimento a causa delle gravi perdite registrate dalla Banca Cooperativa, che era uno dei soci che avevano costituito il Gruppo Cooperativo.

Accanto a queste organizzazioni delle cooperative, operano molte altre cooperative di lavoratori in piena espansione, come la Unicorn Grocery and Ethical Consumer di Manchester, numerose cooperative edilizie e la nuova ondata che sta emergendo di negozi comunitari e bar nelle aree rurali, come ad esempio il Nenthead Community Shop situato nella Cumbria. Esiste anche un forte settore di imprese sociali nella regione, sostenuto dalla Social Enterprise North West, nonché molte iniziative mutue di affari e organizzative, che non sono ufficialmente delle imprese cooperative ma che operano secondo modalità mutue o cooperative. Il Fairtrade, il commercio equo e solidale, ad esempio è fortemente promosso in tutta la regione.

 

Il forte coinvolgimento dei soci-lavoratori

È dunque in questo quadro territoriale e storico che Manchester Home Care si muove in quanto cooperativa sociale autogestita, nel settore dell’assistenza sociale e in servizi di welfare locale, specializzata nel fornire assistenza e supporto domiciliare a persone con disabilità o anziani e malati non autosufficienti, nonché nel fornire cure palliative alle persone con malattie in fase finale.

La caratteristica di questa organizzazione è l’attenzione al modello di autogestione e al modello di organizzazione partecipato, che prevede un forte coinvolgimento dei soci lavoratori e delle persone che ricevono i servizi di assistenza. Tutti i lavoratori sono soci della cooperativa e partecipano in maniera orizzontale alle decisioni relative all’intera attività economica e sociale: dalle assunzioni alla definizione degli stipendi fino al tipo di servizio da offrire. Il modello decisionale prevede riunioni bi-mensili dove vengono prese le decisioni in maniera democratica e partecipativa. Inoltre, in assemblee ad hoc vengono definite le linee di bilancio, dagli investimenti alle azioni di sostegno alla comunità.

Tutto questo ha contribuito nel tempo ad assicurare: basso turnover del personale, favorendo in modo significativo la continuità e la qualità umana del sostegno; maggiori avanzi di gestione rinvestiti nella formazione del personale e nello sviluppo; impegno per l’innovazione dei servizi; impegno a creare occupazione nelle comunità escluse.

Spiega Guy Turnbull, amministratore della cooperativa: «Una forza lavoro più impegnata e consapevole aumenta la qualità della cura. Il nostro modello cooperativo assicura una continuità delle persone che si prendono cura dei malati rispetto al turnover tradizionale nel settore privato. Questo permette di creare una relazione stabile e non funzionale con gli assistiti, che hanno bisogno di persone familiari, che possano comprendere le loro esigenze quotidiane» (SUSY, 2017).

Per Carmel Peach, consulente per i servizi di assistenza della Manchester Home Care, il fatto che i dipendenti siano anche proprietari dell’impresa fa molta differenza nel loro atteggiamento verso il lavoro, poiché coloro che prestano le cure si sentono più coinvolti nella gestione e sono più consapevoli verso la cooperativa.

 

Casa Manchester

Care and Share Associates (CASA) è una organizzazione sociale con un regime particolare, che esercita una supervisione sulle sue branche operative, di cui Manchester Home Care è un esempio. Quest’ultima quindi fa parte del settore per le cure sociali e sanitarie, e in quanto impresa sociale mutua, la cui proprietà è dei suoi dipendenti, fa parte a pieno titolo dell’economia sociale e solidale inglese.

Tra le sue iniziative più importanti, CASA (www.casaltd.com) promuove una propria accademia di formazione per le persone che sono interessate a diventare dei dipendenti dell’organizzazione. All’accademia forniscono una formazione pratica, spiegano il significato dell’appartenenza e che cosa comporta la proprietà dei dipendenti. Ai formati viene anche fornito un aiuto per ottenere delle specializzazioni riconosciute per il lavoro di cura, che li rende più facilmente occupabili nel futuro.

 

Servizi offerti

Manchester Home Care si occupa di un’ampia varietà di lavori di cura attraverso i quali gli operatori trasformano la vita quotidiana di migliaia di persone, cercando di favorire la loro autonomia: lavaggio, alzarsi e andare a letto, assistenza con trasferimenti, aiuto durante la notte, ma anche assistenza per la somministrazione delle medicine prescritte. Nel sostegno domiciliare sono previsti servizi come preparare i pasti e lavaggio stoviglie, spesa quotidiana, aiuto per pagamento bollette e ottenimento altri documenti.

Manchester Home Care è specializzata principalmente per cure durante la fase finale delle malattie e nelle cure palliative. Per questo gli infermieri di Casa Manchester vengono sostenuti durante tutto il periodo necessario affinché non si sentano eccessivamente stressati o affaticati. «È un momento molto delicato, traumatico – spiega uno degli operatori –, poiché aiutiamo il paziente nelle operazioni pratiche ma curiamo anche gli aspetti emotivi».

 

Un’idea diversa di lavoro

L’impatto trasformativo proposto da questa esperienza si può e si deve valutare, in primo luogo, rispetto all’idea diversa di lavoro proposta. I soci coinvolti hanno un lavoro degno, che fornisce loro un reddito sostenibile e di sostentamento migliore di altre esperienze simili. Il modo in cui fornisce assistenza e sostegno è plasmato da una convinzione di reciprocità, partecipazione e qualità, che è condivisa da tutti gli operatori. La Manchester Home Care cerca inoltre di assumere persone che da lungo tempo sono disoccupate e che provengono da situazioni di disagio sociale. L’organizzazione stessa promuove un ambiente di lavoro positivo e familiare: questa caratterizzazione fa la differenza rispetto ad altre imprese di assistenza domiciliare che non sono autogestite.

Nonostante quest’esperienza riesca a sostenersi e ad avere una relazione speciale con la comunità territoriale, ci sono ancora molte sfide che vanno affrontate. In primo luogo, rafforzare l’assistenza e la cura dei malati terminali. Si tratta di un’area di lavoro impegnativa sia perché i soci lavoratori devono gestire i rapporti con le strutture ospedaliere e sono continuamente sotto pressione per il tema della reperibilità e i turni sia per il tipo di assistenza e cura. In secondo luogo, una sfida aperta è quella di garantire i contratti di appalto con le autorità locali, soprattutto rispetto alla forte concorrenza di altri fornitori di assistenza più mirati al profitto che non hanno problemi a ridurre i salari dei propri dipendenti e ad abbassare la qualità delle cure, e quindi fornire un servizio più economico.

 

Gli infermieri di comunità

Attraverso i suoi servizi e la formazione interna, negli ultimi anni la cooperativa ha coltivato l’idea centrale di avere una sorta di “infermieri di comunità” gestiti in forma cooperativa: in questo modo viene messo al centro del welfare locale sanitario, un elemento troppo spesso trascurato, la prevenzione, che diventa possibile solo se riesci a intrattenere una relazione con le persone. Così si afferma un servizio dove se si curano o si prevengono le possibili patologie attraverso dei controlli regolari fatti direttamente a casa delle persone e si riduce la pressione sugli ospedali.

Se è l’autogestione a caratterizzare questa cooperativa, resta una domanda aperta: c’è un filo rosso che lega questa esperienza di Manchester con altre molto differenti, dalle cliniche autogestite in Grecia ai sistemi sanitari autorganizzati dalle comunità indigene in America Latina o dagli abitanti delle baraccopoli in Africa? Scrive Gustavo Esteva: «La gente sostituisce sostantivi come educazione, salute o alloggio, che sarebbero le “necessità” la cui soddisfazione dipende da enti pubblici o privati, con verbi come apprendere, curare o abitare. Recupera così rappresentanza personale e collettiva e rende possibili percorsi autonomi di trasformazione sociale». Intorno al tema del prendersi cura in modo diverso, ad esempio, ovunque «si diffondono iniziative che sfidano apertamente il sistema stesso e rompono con le nozioni dominanti di malattia e salute […] e abilitano forme di comportamento più sane e forme di cura più umane, radicate nelle case e nelle comunità» (Esteva, 2012).

 

BIBLIOGRAFIA

Benasayag Miguel (2010), La salute a ogni costo, Vita e Pensiero, Milano.

Cacciari Paolo (2013), La salute non si compra, si fa insieme, in http://comune-info.net/2013/11/la-salute-non-si-compra-si-fa-insieme/, 18 novembre.

Calabria Marco (2014), La cultura di far star meglio la gente, in http://comune-info.net/2014/01/stare-bene-dipende-soprattutto-da-noi/, 14 gennaio.

Esteva Gustavo (2012), Antistasis. L’insurrezione in corso, Asterios, Trieste.

Galeano Eduardo (2008), Specchi. La vera storia del mondo, Sperling & Kupfer, Segrate (Mi).

Illich Ivan (1977), Nemesi medica, Boroli, Milano.

Maciocco Gavino (2017), Chi salverà il Servizio sanitario inglese? in http://www.saluteinternazionale.info/2017/02/chi-salvera-il-servizio-sanitario-inglese/, 16 febbraio.

SUSY – SUstainable and Solidarity EconomY (2017), Economia Trasformativa: Opportunità e Sfide dell’Economia Sociale e Solidale in Europa e nel Mondo, ricerca internazionale a cura di Riccardo Troisi, Monica Di Sisto e Alberto Castagnola per conto di FairWatch, nell’ambito del Progetto SUSY – SUstainable and Solidarity EconomY coordinato da Cospe Italia, http://www.solidarityeconomy.eu

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Qui un articolo sul Rapporto, a pag. 4 di ARCI-Report n. 37

Qui un articolo sul Rapporto, da pag. 13 di Sinistra Sindacale n. 21

Qui la registrazione di Radio Radicale della presentazione del 15° Rapporto a Torino, il 31 gennaio 2018

Qui un’intervista video a Sergio Segio e Susanna Ronconi sui temi del nuovo Rapporto



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