Jacob Zuma si dimette: «Non è giusto», ma alla fine si adegua

Jacob Zuma si dimette: «Non è giusto», ma alla fine si adegua

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«Dimissioni con effetto immediato». Cronaca di una giornata convulsa, iniziata con il raid dei corpi speciali nella tenuta della famiglia Gupta

«Non ho fatto niente di male e non mi è mai stata fornita una ragione valida per cui dovrei dimettermi. Non è giusto». Scena 2: «Ho deciso di rassegnare le  dimissioni con effetto immediato».

LA PRIMA INTERVISTA con cui Jacob Zuma si era palesato a sorpresa, nel primo pomeriggio di ieri, dagli schermi della tv di stato Sabc, non aveva i toni ufficiali che l’ultimatum dell’African national congress forse pretendeva. Ma tant’è. Il presidente sudafricano doveva rispondere alla richiesta «urgente» di farsi da parte e questo faceva, puntando decisamente i piedi. Ma in tarda serata eccolo riapparire per una resa senza condizioni, una svolta che a dire il vero veniva data per ineluttabile da giorni.

All’inizio il vecchio combattente anti apartheid non era neanche ricorso alla retorica dell’aver «servito il paese in ogni frangente» sfoderata nelle stesse ore da Netanyahu in Israele, si limitava a ripetere di «non capire» la decisione del Comitato esecutivo nazionale. E comunque di non volersi adeguare. «Che me ne devo andare lo sento dire da un bel po’ – spiegava Zuma, apparso stanco e un po’ sconclusionato -, ma non ho ancora visto una sola prova riguardo a ciò di cui mi si accusa». Evidentemente assuefatto allo slogan Zuma must go!, sembrava non volerne sapere neanche quando era il partito che guidava fino due mesi fa a intimarglielo, l’Anc suo, di Mandela e ora di Cyril Ramaphosa, il successore “integrale”, nuovo presidente del partito e presto del paese. Che ora potrà realizzare il suo progetto, installarsi già questo venerdì per esordire con il discorso sullo Stato della nazione, quello che Zuma era in procinto di pronunciare nei giorni scorsi e che a oggi risulta sospeso.

I nuovi vertici dell’Anc per contro non hanno voluto saperne della proposta lanciata in extremis dal 75enne ex leader, restare in carica per altri sei mesi anche per essere lui a introdurre Ramaphosa alla comunità internazionale nei prossimi eventi in agenda. Uno scrupolo risibile, il suo, di fronte all’evidenza del benservito politico.

LE ACCUSE DI CORRUZIONE e appropriazioni indebite per Zuma fioccano, ma per ora non c’è nessuna sentenza che lo inchioda. Il verdetto è appunto politico ed è inappellabile, anche alla luce della batosta rimediata alle ultime elezioni locali. Se Zuma non avesse ceduto l’Anc sarebbe costretto a sfiduciarlo direttamente in parlamento, con apposita mozione da aggiungersi a quella dell’Economic Freedom Fighters fissata per il 22 febbraio. Ma il nuovo segretario del partito Ace Magashule lo aveva fatto capire chiaramente, votare con l’opposizione per licenziare un compagno, anche se è un compagno “che sbaglia”, non è da «partito rivoluzionario». Ieri sera i vertici del nuovo Anc dichiaravano nervosamente di restare in attesa della «risposta ufficiale». Che alla fine è arrivata, dopo un’attesa estenuante.

Una visione plastica del declino di Zuma la aveva restituito anche l’operazione con cui, all’alba di ieri, i corpi speciali Hawks avevano fatto irruzione nella faraonica tenuta della famiglia Gupta – il clan imprenditoriale che sembra stare dietro a tutte le fortune e alle sfortune dell’ormai ex presidente sudafricano – presso Johannesburg. Il raid si è poi concluso con tre arresti, ma dopo che erano circolate ipotesi clamorose, subito smentite, l’identità delle persone finite in carcere è rimasta segreta. L’inchiesta è quella sullo state capture, la capacità dei Gupta di orientare le scelte del governo in campo economico e di intercettare finanziamenti in modo illecito. In ballo ci sono tra l’altro 50 milioni di dollari destinati a un progetto per agricoltori poveri che sono spariti in corruttele.

FONTE: Marco Boccitto, IL MANIFESTO



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