Strage in Florida con 17 morti, ma per Trump le armi non sono un problema

Strage in Florida con 17 morti, ma per Trump le armi non sono un problema

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Con 17 morti e 3 feriti gravi, la strage di Parkland in Florida è diventata il peggiore mass shooting avvenuto in una scuola superiore americana, considerando che l’attacco alla Columbine High School in Colorado aveva causato la morte di 15 persone inclusi i due attentatori.

In Florida il 19enne Nikolas Cruz, invece, è stato arrestato; Cruz viene descritto come una persona dal carattere solitario, che amava parlare di armi così come postarne immagini sui social.

Secondo l’organizzazione ebraica per i diritti civili, Anti-Defamation League, il ragazzo sarebbe stato associato al gruppo di suprematisti bianchi Republic of Florida. Sul proprio sito web, quest’ultimi si descrivono come una «organizzazione bianca per i diritti civili» che vuole creare uno «Stato etnico bianco» in Florida.

Cruz avrebbe partecipato proprio ad uno dei loro campi di addestramento e proprio con l’uso del fucile d’assalto AR-15, l’arma dei massacri. Per il massacro ha usato quell’arma, precedentemente acquistata in modo legale. Questa di Parkland è, dall’inizio dell’anno, la diciottesima sparatoria che si svolge in una scuola Usa; dal massacro di Sandy Hook in Connecticut, nel dicembre 2012, in cui furono uccise 26 persone di cui 20 bambini, sono state 291: una media di una sparatoria a settimana.

Esiste un programma, Alice, che insegna che fare in caso di mass shooting. Questo è un segno delle dimensioni del problema. La reazione del governatore repubblicano della Florida, Rick Scott, grande amico di Trump, è stata paradigmatica della posizione dei repubblicani amici della National Rifle Association, la Nra, la potentissima lobby delle armi americana che ha sostenuto la campagna elettorale di Trump.

Scott ha definito la sparatoria «pura malvagità» e ha specificato di non avere alcuna intenzione di aprire un dibattito sulla diffusione delle armi: «Ci sarà tempo per fare discussioni su come garantire la sicurezza delle persone attraverso l’applicazione della legge».

Dello stesso parere anche Trump che nel suo messaggio non ha nemmeno fatto cenno a un’ipotesi di controllo delle armi e si è concentrato su i problemi riguardanti la salute mentale negli Stati uniti: «Vogliamo rendere sicure le nostre scuole e affrontare la spinosa questione della salute mentale», ha detto Trump, poco importa che sia stato proprio lui a cancellare la normativa voluta da Obama che, dopo il massacro di Sandy Hook, aveva voluto impedire ai malati mentali di possedere legalmente armi.

Poco dopo il discorso di Trump, è intervenuto su Twitter proprio l’ex presidente che nei suoi due mandati si è sempre speso per una politica sul controllo delle armi. «Siamo addolorati per quanto accaduto a Parkland, ma non siamo impotenti – ha scritto Obama – Prenderci cura dei nostri ragazzi è il nostro primo lavoro. Fino a quando non potremo onestamente dire di stare facendo abbastanza per tenerli al sicuro da eventuali danni, comprese le leggi di sicurezza delle armi da lungo tempo in attesa del buon senso che la maggior parte degli americani vorrebbe, dovremo cambiare».

Trump, invece, è arrivato quasi a colpevolizzare gli studenti del liceo dove Ruiz ha sparato: «C’erano tanti segnali a confermare che l’assassino della Florida fosse mentalmente disturbato – ha twittato il presidente americano – Era stato perfino espulso dalla scuola per condotta cattiva e incostante. I suoi vicini e i suoi compagni di classe sapevano che era un grande problema. Bisogna segnalare sempre questi casi alle autorità».

Che il problema possa essere arginato con una legge sul controllo delle armi, invece, è la posizione di altri politici americani come il neo eletto governatore democratico del New Jersey, Philip Murphy.

Quello che si delinea è una doppia America: quella di Stati dove prevale il buon senso e un minimo di solidarietà civile e gli Stati filo-Trump dove a un 19enne è vietato l’ingresso nei bar, ma non l’acquisto legale di una mitraglietta semi automatica.

FONTE: Marina Catucci, IL MANIFESTO



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