Erdogan ordina, Praga esegue: arrestato il leader curdo Salih Muslim

Erdogan ordina, Praga esegue: arrestato il leader curdo Salih Muslim

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Dietro sta il possibile scambio con due attivisti cechi pro-curdi, fermati dalla polizia di Ankara nel 2016 al confine tra Siria e Turchia e condannati a sei anni di carcere

PRAGA. Ankara è riuscita a mettere le mani su uno dei più importanti leader dei curdi in Siria. Su richiesta delle autorità turche è stato arrestato a Praga, nella notte tra sabato 24 e domenica 25 febbraio, l’ex vicepresidente del Partito dell’Unione Democratica (Pyd), Salih Muslim.

Il politico curdo, fino al 2017 al vertice del Pyd (principale riferimento politico di Rojava) e attualmente uno degli emissari diplomatici dei curdi in Europa, si trovava a Praga per diversi incontri riservati e per una conferenza a porte chiuse.

A quanto sembra, uno dei partecipanti avrebbe segnalato la sua presenza alle autorità turche, che a stretto giro hanno fatto richiesta di estradizione tramite l’Interpol alla polizia ceca. La Turchia ha spiccato un mandato d’arresto contro Salih Muslim sospettato di aver partecipato agli attentati ad Ankara del febbraio 2016.

Fino ad ora Muslim non ha avuto alcuna difficoltà nei suoi spostamenti in Europa e nel 2017 è stato addirittura ricevuto dal presidente francese Hollande. È quindi evidente che la pressione della Turchia contro i curdi e le loro reti di solidarietà all’estero sta montando. Sull’affaire ha fatto in tempo a esprimersi il presidente turco Erdogan, che ha auspicato l’estradizione di Salih Muslim.

A Praga hanno invece espresso la loro protesta decine di curdi e di loro sostenitori. Alla manifestazione è intervenuto anche il ministro degli Interni, che ha ribadito la responsabilità della magistratura e del ministero della Giustizia nell’iter di estradizione la cui richiesta – ha detto ieri il vice premier turco Bozdag – è stata inviata già ieri.

Ieri il portavoce della corte di Praga ha fatto sapere che l’udienza è prevista per questa mattina: il tribunale deciderà se rilasciarlo o se detenerlo 40 giorni in attesa dell’arrivo delle carte dalla Turchia.

Secondo le leggi ceche, il pubblico ministero dovrà confermare il fermo entro 48 ore dall’arresto.
In seguito la richiesta di estradizione verrà giudicata dal tribunale. L’eventuale via libera all’estradizione deve ottenere anche l’approvazione del guardasigilli, che tuttavia può ribaltare la decisione della corte e negare l’espatrio forzato. Tutto l’iter può durare anche più di sei mesi.

Sulla carta le possibilità di estradizione di Muslim non sono alte. In Turchia il politico curdo rischia la pena di morte ed è evidente che la giustizia turca non risponde ai criteri di terzietà e indipendenza. Inoltre Salih Muslim godrebbe dello status di rifugiato politico.

Non è la prima volta che la giustizia ceca deve decidere su un mandato di estradizione spiccato dalla Turchia. Nel 2016 la Corte di Hradec Králové negò l’estradizione di Nazmi Sahin, condannato in Turchia a tre anni e mezzo di carcere per presunti legami con le frazioni armate del Partito maoista turco.

All’epoca l’estradizione fu negata, in quanto in Turchia non furono garantiti i diritti a un equo processo e a Sahin venne riconosciuto dall’Italia già nel 2013 lo status di rifugiato politico. Oggi la posta in gioco è molto più alta rispetto a due anni fa e la Turchia ha anche molte più leve nei confronti di Praga rispetto al passato.

Le autorità ceche evidentemente sperano di ingraziarsi Ankara sulla questione dei due attivisti cechi e fiancheggiatori delle milizie curde in Siria, Markéta Všelichová e Miroslav Farkas. Sono stati arrestati nel 2016 al confine tra Siria e Turchia e condannati a sei anni di carcere per sostegno a organizzazioni terroristiche.

Dopo due gradi di giudizio sfavorevoli ai due attivisti, le ultime speranze sono riposte nel giudizio della Corte di Cassazione turca che potrebbe ribaltare le sentenze precedenti.

Non sorprende quindi che siano in molti a temere «uno scambio di prigionieri», il cui vantaggio andrebbe tutto al regime di Erdogan.

FONTE: Jakub Hornacek, IL MANIFESTO



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