Siria. Assad avanza a Ghouta, strage Usa a Deir Ezzor

by Chiara Cruciati | 1 Marzo 2018 10:41

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Anche il secondo giorno di pausa umanitaria a Ghouta est si è chiuso con violenze e nessuno sfollato. I 20mila islamisti arroccati nel sobborgo di Damasco, mescolati a 400mila civili, non intendono cedere uno dei pochi bastioni rimasti alle opposizioni salafite e qaediste nella guerra siriana, facendo della Ghouta orientale un nuovo punto di svolta, come fu Aleppo nel 2016.

Ne è consapevole anche Damasco che ieri è avanzata con le truppe governative nell’enclave alle prime ore dell’alba, prima dell’entrata in vigore della tregua di cinque ore al giorno ordinata dalla Russia.

Tra le 9 e le 14, si sono comunque registrate esplosioni in alcune aree di Ghouta, con missili lanciati dalle opposizioni verso le postazioni del governo e le successive risposte. Secondo quanto riferito dal ministero della Esteri russo, i colpi di mortaio hanno impedito a circa 300 civili che stavano tentando la fuga di raggiungere il corridoio umanitario del checkpoint di al-Wafidin.

«I miliziani trincerati continuano a bombardare Damasco, bloccano le consegne di aiuti e ostacolano l’evacuazione di chi desidera partire», ha detto il ministro Lavrov al meeting del Consiglio Onu dei diritti umani di Ginevra.

Lavrov ha approfittato della platea per rispondere alle accuse statunitensi, reiterate in questi giorni, di utilizzo di armi chimiche da parte di Damasco: «Accuse assurde», ha detto il capo della diplomazia russa a fronte dell’annunciato lancio di un’indagine sul presunto uso di cloro su Ghouta est, da parte dell’Organizzazione per la Proibizione delle armi chimiche (Opcw).

Risponde anche il rappresentante siriano a Ginevra: «La Siria non può avere usato armi chimiche semplicemente perché non ne possiede», ha detto Hussam Edin Aala in riferimento allo smantellamento dell’arsenale chimico nell’autunno 2013 (dopo il tentato attacco Usa) sotto la supervisione dell’Opcw e dell’Onu.

Ma è proprio l’Onu a restare inascoltata: nessuna tregua risuona nel resto della Siria. Se il Syrian Network for Human Rights denuncia 107 morti da sabato (dal voto all’Onu della risoluzione che chiede il cessate il fuoco nel paese), di cui 83 attribuiti al governo, secondo l’agenzia di Stato Sana, è di un morto (una ragazza) e 14 feriti il bilancio di una pioggia di missili lanciati dai qaedisti di al-Nusra su Daraa, confine sud con la Giordania. Sarebbero invece 24 le vittime in un raid statunitense a Deir Ezzor: colpito un campo rifugiati improvvisato a Dhahret Al-Allouni.

Raid anche da parte della Turchia: per ore ieri centinaia di colpi di mortaio sono caduti su Jinderese, nel cantone curdo di Afrin, colpendo zone residenziali e palazzi. Dopotutto ieri il ministero degli Esteri di Ankara rispondeva per le rime agli Usa che chiedevano all’alleato Nato di aderire alla tregua promossa dall’Onu (e che Ankara ha votato con fervore).

«La Turchia non è attore della guerra in Siria», ha detto il portavoce Nauert aggiungendo che l’esclusione dalla tregua di al Qaeda e Isis permette all’esercito di Erdogan di attaccare Afrin, nella folle assimilazione delle Ypg (protagoniste della vittoriosa resistenza contro l’Isis) allo Stato Islamico.

FONTE: Chiara Cruciati, IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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