Proteste dei «monteros» a Madrid dopo la morte del senegalese in fuga dalla polizia

Proteste dei «monteros» a Madrid dopo la morte del senegalese in fuga dalla polizia

Loading

La questione dei manteros, i venditori ambulanti di origine africana, è esplosa di nuovo dopo il caso di Mame Mbaye, il 35enne senegalese morto giovedì di infarto dopo essere stato perseguitato per l’ennesima volta dalla polizia municipale di Madrid. La dinamica dei fatti non è stata chiarita del tutto, e lo stesso comune sta investigando, ma le proteste che sono nate nel quartiere iper-gentrificato di Lavapiés da parte della comunità senegalese dopo l’accaduto sono spia di un problema molto grave. La combinazione di una legge sugli stranieri inasprita dal governo Rajoy, che rende ancora più difficile ottenere i documenti di residenza (anche per gli stranieri comunitari), e la riforma del codice penale, sempre per mano del partito popolare, che punisce molto gravemente la vendita di prodotti falsificati, rende la vita dei monteros impossibile. La persecuzione da parte della polizia municipale, secondo i racconti di molti colleghi di Mbaye, è quotidiana, e le fughe di corsa sono inevitabili per non finire nel centro di internamento stranieri. Per questo in molti sono scesi in piazza nel Paese denunciando il «razzismo istituzionale».

Psoe, Podemos e Izquierda Unida hanno chiesto spiegazioni al governo, mentre il segretario di Iu Alberto Garzón proprio venerdì ha presentato un proposta di riforma del codice penale per «recuperare la libertà di espressione» che, oltre all’abolizioni di una serie di reati anacronistici (come l’insulto alla Corona), propone l’inabilitazione per gli agenti che identifichino senza motivo i partecipanti alle manifestazioni politiche o sindacali. Dell’episodio più grave sono stati protagonisti degli agenti della Policia nacional durante le proteste scattate subito dopo la morte di Mbaye. Secondo quanto ricostruito dal eldiario.es, un secondo migrante senegalese, Arona Diakhaté, sarebbe stato colpito con violenza sulla testa da un manganello, apparentemente senza che stesse facendo nulla di male. Il colpo l’avrebbe fatto svenire. I poliziotti, invece di chiamare soccorsi come sono obbligati a fare, si sarebbero dati alla fuga. Un secondo gruppo di poliziotti avrebbe portato Diakhatè via a braccia (anche questo, contro i protocolli previsti) fino a un vicino portone per decidere il da farsi. Dopodiché lo avrebbero trasportato in caserma in macchina e solo allora avrebbero chiamato l’ambulanza, senza dichiarare nei verbali nulla di quanto accaduto. Ora il senegalese è in ospedale con 20 punti e un traumatismo cranioencefalico.

FONTE: Luca Tancredi Barone, IL MANIFESTO



Related Articles

In marcia assieme ai migranti che valicano le Alpi aiutati da preti e associazioni

Loading

Il reportage. Di notte sui sentieri tra Piemonte e Francia, evitando la gendarmerie. Subito oltre il confine volontari offrono un rifugio

Rapporto ONU: «Abusi in Xinjiang». Ma non è un genocidio

Loading

Il Rapporto dell’Onu sulle condizioni della regione dove vive la minoranza musulmana degli uiguri chiede alle autorità cinesi provvedimenti per chiudere i centri di rieducazione. Pechino risponde: menzogne

Arabia saudita. Oltre 5 anni di carcere per l’attivista Loujain Al Hathloul

Loading

L’attivista saudita comunque dovrebbe uscire di prigione a marzo grazie alla sospensione della pena. Intanto pensa di presentare appello contro la sentenza che l’ha condanna per terrorismo

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment