Torino crudele: la circoscrizione del Pd chiude MangiAsti, la mensa per i poveri

by Livio Pepino | 12 Aprile 2018 9:47

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Il 2 giugno 2017 tre realtà del sociale aprono in Borgo San Paolo (vecchio cuore operaio della città oggi imborghesito ma con sacche rilevanti di povertà) una mensa sociale, chiamata MangiAsti, che serve pasti del tutto gratuiti a chi ne ha bisogno. Le realtà sono l’associazione Via Asti Liberata (reduce dall’occupazione, per restituirla alla città, di una caserma cittadina ricca di memorie della resistenza e abbandonata al degrado), la cooperativa Babel (operante nel settore dei migranti) e l’associazione Papaveri rossi (costituita da giovanissimi impegnati, tra l’altro, nell’organizzazione di viaggi della memoria nei campi nazisti del centro Europa). I locali che ospitano la mensa sono di proprietà del Comune e vengono concessi in uso dalla cooperativa che li ha a disposizione gestendo, per servizi pubblici, l’intero edificio.

LA MENSA È APERTA A TUTTI senza controlli né registrazioni di chi vi accede. La cosa funziona e, dopo il rodaggio iniziale, vi accedono, ogni giorno, 40-50 persone, pari alla capienza massima. Nei 197 giorni di apertura, vengono serviti 7.006 pasti caldi. Sorprendentemente (ma non troppo) la maggior parte degli ospiti (87%) è composta da italiani, residenti in misura significativa in case popolari del quartiere; solo il 13% è costituito da migranti. A frequentare la mensa sono soprattutto maschi (94%) mentre le donne sono in numero modesto (6%). La mensa è totalmente autofinanziata e gestita con il concorso di un gran numero di volontari (ben 180) di ogni età, che collaborano con maggiore o minor frequenza, garantendo complessivamente 4.129 ore di presenza.

L’autofinanziamento è  assicurato dalle associazioni che l’hanno promossa, da contributi volontari e – aspetto di particolare interesse – dai proventi di un ristorante popolare aperto a dicembre, il primo in territorio torinese, dove è possibile cenare versando se e quanto si ritiene in base alle proprie disponibilità. Mensa e ristorante popolare creano un clima particolarmente caldo, in cui si cerca di fare in modo che ciascuno si trovi a casa sua. Molti dei frequentatori del ristorante sono vicini di casa del quartiere e il significato sociale dell’esperienza è riconosciuto dal Banco alimentare, da Slow Food e da operatori del settore alimentare che vi collaborano fornendo cibo e bevande. Non mancano le difficoltà, soprattutto di carattere economico, ma la cosa funziona e, a poco a poco, diventa un punto di riferimento per ampi settori della città.

Ma non è una favola a buon fine…

AI PRIMI DI APRILE (PROPRIO in questi giorni) viene infatti a scadenza l’appalto della cooperativa che dispone dei locali. Non avendo la Circoscrizione predisposto, allo stato, alcun nuovo bando con riferimento all’edificio, le associazioni che gestiscono la mensa chiedono di essere autorizzate a proseguire, con una concessione temporanea, fino a che i locali non saranno assegnati al vincitore del bando che prima o poi (forse) sarà pubblicato. Richiesta di ovvia ragionevolezza per tutti, men che per la maggioranza che guida la Circoscrizione (composta, detto per inciso, dal Partito democratico)… La presidente della Circoscrizione, infatti, respinge la richiesta sostenendo, con ragioni giuridiche fantasiose e più volte modificate in colloqui verbali, che la concessione non è possibile (mentre tale possibilità, per un periodo inferiore a un anno, risulta con chiarezza dai regolamenti comunali e diverse concessioni analoghe sono intervenute nel tempo).

Così la mensa chiude con la conseguenza, del tutto paradossale, dell’abbandono dei locali a un degrado destinato a protrarsi per molti mesi e, parallelamente, dell’interruzione di un servizio che ha affrontato concretamente – e senza alcun onere per la pubblica amministrazione – situazioni di disagio ignorate dalla Circoscrizione. A farne le spese sono, ancora una volta, persone in grave difficoltà economica. Dire che si tratta di mala amministrazione è dir poco.

NON È INUTILE contestualizzare. La cornice della vicenda è una città in cui l’aumento dei clochard per le strade, le serrande di molti negozi definitivamente abbassate, l’aumento degli accessi alla Caritas e ai servizi sociali, le (poche) inchieste di qualche giornalista non embedded mostrano anche ai ciechi una sofferenza sociale sempre più insostenibile. Eppure settori consistenti della politica e delle istituzioni fingono di ignorarlo cullandosi nell’immagine delle luci natalizie del centro e degli splendori delle Olimpiadi invernali del 2006 (fonte di un debito impressionante e irresponsabilmente negato). È la cultura che ha portato, anni fa, ad accantonare la proposta di Emergency di aprire in città una clinica sociale gratuita (ritenuta inutile, sic!) e che spinge oggi a caldeggiare nuove Olimpiadi invernali nel 2026.

Il commento è assai semplice: come si fa stupirsi perché si perdono le elezioni e perché i cittadini smettono di credere nelle istituzioni?

FONTE: Livio Pepino, IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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