Siria, Trump tira fuori i missili smart. L’Opac chiede un mese di tempo

by Chiara Cruciati | 12 Aprile 2018 11:02

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La preparazione del conflitto siriano prosegue. Stati uniti e Russia sono sul piede di guerra e al momento a tentare di fare da argine c’è solo l’Opac. Dopo l’invito di Damasco, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, ha detto ieri il suo direttore Ahmet Uzumcu, invierà a breve a Ghouta est dieci esperti per verificare l’uso o meno di armi chimiche da parte governativa nel sobborgo ripreso dall’esercito siriano. Ma, aggiunge, per avere risultati certi dai campioni che saranno prelevati e poi esaminati nei laboratori, ci vorrà almeno un mese.

La Siria potrebbe non avere tanto tempo. L’escalation è realtà, plastica memoria di eventi pressoché identici avvenuti negli ultimi due decenni in Medio Oriente. Martedì al Consiglio di Sicurezza Onu è andato di scena l’atteso scontro a colpi di veto tra Russia e Usa, che si sono affondati a vicenda le risoluzioni: entrambe chiedevano indagini indipendenti, a cambiare le modalità di individuazione degli esperti che Mosca diceva di voler affidare alle organizzazioni internazionali di monitoraggio mentre Washington prevedeva nuovi meccanismi di selezione.

E ieri lo scontro è proseguito: «Tieniti pronta, Russia, stanno arrivando, belli, nuovi e intelligenti – ha scritto su Twitter il presidente Usa Trump riferendosi ai missili che intende usare per il non meglio precisato intervento in Siria – Non dovresti essere partner di un “gas killing animal”, che uccide il suo popolo e ne gode».

Donald J. Trump

@realDonaldTrump

Russia vows to shoot down any and all missiles fired at Syria. Get ready Russia, because they will be coming, nice and new and “smart!” You shouldn’t be partners with a Gas Killing Animal who kills his people and enjoys it!

«I missili intelligenti dovrebbero volare sui terroristi e non sul governo legittimo che ha passato anni a combattere sul proprio territorio il terrorismo internazionale», ha risposto Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo. Che ha poi provocatoriamente chiesto: «Il vero obiettivo è eliminare le tracce di una provocazione usando missili intelligenti perché gli ispettori internazionali non possano trovare le prove che cercano?».

E se il presidente russo Putin usa parole concilianti (ieri, criticando la twitto-diplomazia trumpiana, ha detto di sperare che «prevalga il buon senso e che le relazioni internazionali tornino su un binario costruttivo»), va oltre l’ambasciatore russo in Libano, Alexander Zasypkin: in un’intervista ad al-Manar Tv, legata a Hezbollah, ha detto che «nel caso di attacco missilistico Usa, in linea con le indicazioni di Putin e del capo di stato maggiore, abbatteremo i razzi e le strutture che li hanno lanciati».

Parole aspre mentre sul terreno le manovre militari, concrete, proseguono: oltre al cacciatorpediniere Usa Cook in viaggio verso le coste siriane, da quelle statunitensi starebbe partendo la portaerei Truman, mentre le basi cipriote del Regno Unito (con la Repubblica di Cipro che ieri, tramite il portavoce governativo Prodromou, diceva di non essere coinvolta in alcun piano militare anti-Assad) sono in allerta. Come in allerta sono le basi russe in Siria, a partire da quella di Tartus, la città verso cui si sta dirigendo ilCook: ieri e oggi, dal 17 al 19 e il 25 e 26 aprile, la marina russa effettuerà esercitazioni lungo la costa siriana.

Attiva è anche la Nato che ieri insieme agli Usa ha compiuto operazioni di ricognizione aerea sulla Siria: dalla base italiana della Nato di Sigonella sono decollati Boeing Poseidon statunitensi diretti a Latakia, vicino dunque alla base siriana di Hmeimim, dove stanziano anche soldati russi, mentre un secondo Boeing ha invece pattugliato il confine settentrionale con la Turchia.

Ieri sera Trump ha ricevuto alla Casa bianca il capo di stato maggiore Dunford e il capo del Pentagono Mattis: sul tavolo le diverse opzioni militari, in un incontro che concretizza la minaccia statunitense alla Siria.

Si muovono infine gli attori regionali del conflitto, Iran e Turchia, parte del processo di Astanama ancora portatori di istanze non affatto coincidenti sul futuro siriano. Mentre ieri Ali Akbar Velayati, comandante in capo delle forze iraniane in Siria, visitava Ghouta, il ministro degli Esteri turco Cavusoglu ribaltava di nuovo la posizione turca su Assad.

Dopo aver tentato per anni di farlo cadere, aveva virato verso Mosca per archiviare almeno un successo, il controllo della regione curdo-siriana Rojava. Ora i venti di guerra ridanno coraggio ad Ankara: Assad deve essere cacciato, ha detto Cavusoglu. Per poi rispedire al mittente (Teheran) la richiesta di consegnare il cantone curdo occupato di Afrin a Damasco.

«Vogliamo normalizzare la situazione ad Afrin e consegnare la zona al regime non ci permetterà di conseguire il nostro obiettivo». Anche Astana traballa. Nelle stesse ore il premier israeliano convocava il gabinetto di sicurezza: prevista una valutazione dei servizi segreti su eventuali rappresaglie di Teheran dopo il raid di Tel Aviv sulla base siriana T4.

FONTE: Chiara Cruciati, IL MANIFESTO[1]

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