Finalmente cominciata la missione Opac in Siria, a Ghouta est

by Chiara Cruciati | 22 Aprile 2018 18:17

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Gli ispettori dell’Opac sono entrati a Ghouta est. Lo ha reso noto ieri la stessa Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche: «La missione ha visitato uno dei siti a Douma per raccogliere campioni da analizzare in relazione all’accusa di utilizzo di armi chimiche il 7 aprile 2018. L’Opac valuterà la situazione e deciderà i passi futuri, inclusa un’altra possibile visita. I campioni raccolti saranno trasportati nel laboratorio Opac di Rijswijk (in Olanda, ndr) e poi spediti per le analisi nei laboratori Opac designati».

Si inizia con una settimana di ritardo, di cui i due fronti si sono accusati a vicenda, e con Mosca che getta già ombre sull’ispezione: la Russia solleva perplessità sulla decisione dell’Opac di visitare solo alcuni siti, definendola frutto di una «riluttanza a far luce sull’ennesima provocazione inventata sull’uso di armi chimiche».

Utilizzo che nei giorni scorsi è stato messo in dubbio dai reportage dei pochi giornalisti occidentali ammessi nella Ghouta orientale e che disegnano un quadro complesso, che tira in ballo montature degli Elmetti bianchi, protezione civile finanziata da Gran Bretagna e Golfo e accusata di operare solo nelle aree in mano alle opposizioni islamiste.

Dei team di soccorritori non ne resta – sembra – nessuno: secondo fonti locali, sono usciti sugli autobus diretti a Idlib e Jarabulus, nell’ambito degli accordi di evacuazione stretti dal governo con le diverse milizie islamiste presenti nel sobborgo.

E gli accordi continuano: dopo quelli raggiunti a Ghouta est e, pochi giorni fa, ad al-Dumayr (est di Damasco, sono usciti 1.500 miliziani di Jaysh al-Islam) e dopo il collasso di quello con al-Nusra e Isis arroccati a sud della capitale (tra il campo profughi palestinese di Yarmouk e i sobborghi di Babila e Hajar al-Aswad, da giorni oggetto di raid aerei governativi, con almeno sei morti tra i rifugiati palestinesi), ieri ad accettare di lasciare la provincia damascena sono state altre unità di Jaysh al-Islam.

Si ritireranno dal distretto di Qalamoun, in particolare da tre aree, Ar Ruhaybah, An Nasriyah e Jayrud. Completata l’evacuazione, farà il suo ingresso la polizia militare russa e sarà formato un consiglio che risolva le questioni civili, tra cui lo status dei prigionieri.

Come nei casi precedenti che hanno interessato la milizia salafita guidata dagli Alloush, la destinazione è Jarabulus, città di confine tra Siria e Turchia, a metà strada tra Afrin e Kobane e a poca distanza da Manbij. Un triangolo dove il presidente turco Erdogan si sta giocando la guerra: persa quella contro il presidente siriano Assad, Ankara si è concentrata sulla distruzione del progetto di confederalismo democratico curdo e dopo l’occupazione di Afrin ha già annunciato l’avanzata verso oriente.

Nel silenzio internazionale, la situazione degli sfollati dal cantone di Afrin resta drammatica: circa 300mila civili sono ancora nella zona di Shahba, nel distretto di Aleppo, senza sostegno esterno. In assenza di organizzazioni internazionali, tende e cibo vengono forniti dalle amministrazioni autonome di Rojava e dalla Mezzaluna curda, che hanno messo in piedi due campi.

E mentre nel cantone arrivano ormai da settimane jihadisti da Ghouta e i loro familiari, le milizie dell’Esercito Libero Siriano alleate di Ankara proseguono nell’occupazione delle abitazioni degli sfollati e nei saccheggi di cui sono state protagoniste nei primi giorni di occupazione, un mese fa.

E continuano negli abusi sui civili: secondo quanto riportato dall’Information Center di Afrin, decine di donne ancora nel cantone sono state fatte prigioniere dei miliziani e dei soldati turchi, rinchiuse in alcune case occupate e violentate.

FONTE: Chiara Cruciati, IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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