La Trans Adriatic Pipeline avanza sul cratere, i movimenti si organizzano

La Trans Adriatic Pipeline avanza sul cratere, i movimenti si organizzano

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No Hub del gas in piazza sabato 21 a Sulmona

MACERATA. Il mostro dell’Appennino avanza. Quel che resta del governo Gentiloni, teoricamente in carica solo per la gestione degli affari correnti, preme sull’acceleratore della realizzazione della Trans Adriatic Pipeline, l’enorme condotto che attraverserà l’Italia da sud a nord per trasportare gas e che toccherà anche le zone sismiche dell’Appennino a cavallo tra Abruzzo, Marche, Umbria e Lazio. Si tratta di una struttura che percorrerà l’Italia per una lunghezza di quasi 700 chilometri. Il tubo, largo 120 centimetri, dovrà essere installato a 5 metri di profondità, con una servitù necessaria di 40 metri per la posa. Questo senza contare i cantieri e le centrali di manutenzione che verranno piazzati sul tracciato, con un impatto più che evidente sul patrimonio paesaggistico delle dieci regioni coinvolte, dalla Puglia fino all’Emilia Romagna.

LO SCORSO 7 MARZO, fresco di iscrizione a un Pd uscito a fette dalle elezioni, il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda ha dato il via libera alla costruzione della centrale di compressione di Sulmona, in Abruzzo. Da qui, infatti, parte il terzo lotto del gasdotto: 167 chilometri di percorso che passa vicino L’Aquila, attraversa il triangolo Amatrice, Arquata del Tronto Accumoli, si arrampica nel maceratese distrutto dal sisma e finisce a Foligno.Una settimana fa, il 4 aprile, il presidente del consiglio dimissionario Paolo Gentiloni si è incontrato con i vertici della Regione Abruzzo per sollecitare lo scioglimento degli ultimi nodi burocratici. E pensare che il governatore dem Luciano D’Alfonso – adesso eletto anche al Senato – in teoria sarebbe contrario alla realizzazione della grande opera, che comunque continua ad andare avanti, con buona pace delle tante proteste messe in atto negli ultimi anni da parte di associazioni ambientaliste e movimenti contrari alla distruzione del territorio per fare spazio al trasporto del gas.

IL PROBLEMA non si pone nelle Marche, dove il presidente Luca Ceriscioli ha cambiato la rotta del suo predecessore Gian Mario Spacca e appare entusiasta della costruzione della condotta del gas. Ceriscioli, in quanto vice-commissario alla ricostruzione, ha poteri quasi illimitati sul da farsi: ad esempio potrà decidere di spostare interi paesi da una parte all’altra della cartina geografica, cancellarli e farli rinascere altrove. Certo, per farlo devono esistere comprovati rischi sismici, dettaglio che però sembra non riguardare il gasdotto, dichiarato immune a ogni scossa. Nel 2011 la Commissione Ambiente della Camera licenziò una risoluzione per impegnare il governo a modificare il percorso del tubo, allontanandolo dall’Appennino, in modo da «evitare sia gli alti costi ambientali, sia l’elevato pericolo per la sicurezza dei cittadini dovuto al rischio sismico».

L’azienda che si sta occupando della costruzione del gasdotto, la Snam, si difese parlando di valutazione d’impatto ambientale favorevole e nessun rischio. Nel 2014, però, si ricorda della caduta di un traliccio su una condotta a Pineto, in Abruzzo, con paurose esplosioni visibili a distanza di chilometri e otto feriti. Tanto per stare tranquilli.

Intanto sono già cominciate le compensazioni preventive: un anno fa, il colosso russo del petrolio Rosneft ha annunciato un proprio dono di cinque milioni di euro per la ricostruzione dell’ospedale di Amandola, in provincia di Fermo, crollato in parte dopo il terremoto del 24 agosto 2016. Rosneft è il fornitore di gas dell’Enel, che a sua volta fornirà il gasdotto transadriatico.

IL 21 APRILE, proprio a Sulmona, andrà in scena un corteo organizzato dal Coordinamento No Hub del gas, unione di tutte le realtà che da anni protestano contro la costruzione del tubo e della centrale di compressione.

Dichiarato inutile da più parti, dannoso per unanime ammissione dei vari centri di ricerca interpellati negli anni, inaffidabile come investimento secondo diverse banche commerciali, contro ogni volontà delle popolazioni coinvolte, incurante della sua installazione in territorio sismico, il tubo del gas sembra essere una delle ultime priorità del non ancora ex governo. Il fascino irresistibile della grande opera.

FONTE: Mario Di Vito, IL MANIFESTO



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REFERENDUM SULL’ACQUA

Siamo ormai a pochi giorni dal secondo anniversario dei referendum del 12-13 giugno 2011 sull’acqua pubblica, i servizi pubblici e il ricorso al nucleare. Ha dunque un senso tracciare un bilancio di cosa è successo da quella vittoria: in rispetto ai due referendum sull’acqua pubblica, prendendoli come elementi paradigmatici dell’insieme di quella vicenda. È ormai evidente come i poteri economici e un largo schieramento politico, abbiano lavorato per contrastarli apertamente.

NASCE IL “CARTELLO VERDE”

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   C’è un “cartello verde”, né partito né movimento, che si mobilita in queste elezioni per presentare nei prossimi giorni alle forze politiche un’Agenda ambientalista in 12 punti. È composto da sette fra le principali associazioni ecologiste: WWF, Legambiente, Greenpeace, Fai (Fondo ambiente italiano), Federazione nazionale Pro Natura, Cai (Club alpino italiano) e Touring Club. Un milione di iscritti per un’area d’opinione ben più vasta. E a memoria d’uomo è la prima volta che un tale schieramento riesce a coalizzarsi per promuovere la Ri/Conversione ecologica del Belpaese.

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