Facebookgate: l’annuncio di Cambridge Analytica costretta a chiudere

by Roberto Ciccarelli | 3 Maggio 2018 9:33

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La storia che ha cambiato la nostra percezione dei social network

Cambridge Analytica cessa immediatamente tutte le operazioni. Lo ha comunicato ufficialmente la società. “Negli ultimi mesi Cambridge Analytica è stata oggetto di numerose accuse infondate e, nonostante gli sforzi della società di correggere le informazioni, è stata denigrata per attività che non solo sono legali ma sono ampiamente accettate” si legge nel comunicato. La società, al centro dello scandalo dei dati di Facebook, ha avviato le procedure di insolvenza in Gran Bretagna. L’azienda avrebbe preso tale decisione dopo aver perso numerosi clienti negli ultimi mesi e per i crescenti costi legali per le indagini in corso sull’uso dei dati.

A marzo la società aveva sospeso il suo amministratore delegato, Alexander Nix, e aveva avviato un’indagine per definire quali e quanti illeciti avessero compiuto i dipendenti della compagnia nelle campagne elettorali. SI è anche parlato di un partito politico italiano che però non è stato identificato con certezza. Cambridge Analytica fa analisi di «big data» a scopi politici e ha operato in paesi come gli Stati Uniti, il Kenya, la Colombia e l’India.

La storia è iniziata nel 2014 quando un docente di psicologia all’università di Cambridge, Aleksandr Kogan, crea l’app «This is your digital life» dopo avere reclutato 270 mila utenti con le modalità note su mercati digitali come «Amazon Mechanical Turk»: in cambio di pochi centesimi queste persone hanno risposto a un quiz sulla personalità, firmando il consenso all’uso dei loro dati ai fini di studi scientifici. Con una decisione ancora non chiarita Cambridge Analytica avrebbe raccolto i dati degli amici di Facebook di questi utenti, fino a raggiungere a 87 milioni di profili. Per poi consegnarli alla campagna elettorali di Trump.

Un’inchiesta del Guardian e del New York Times ha rivelato che queste informazioni sono state usate per identificare gli elettori e i temi per loro più sensibili al fine di orientarli verso la scelta di Trump attraverso lo strumento del «micro-targeting» e della pubblicità occulta. Questo sarebbe avvenuto in 17 stati americani attraverso un gigantesco apparato propagandistico a tempo pieno – così l’ha definita il canadese Christopher Wyliem che ha contribuito all’impresa per poi pentirsene e diventare un «whistleblower» nella tradizione americana alla Snowden.

Qualcosa di simile sarebbe accaduto anche nel caso del referendum inglese sulla Brexit. La propaganda occulta [dark propaganda] online è stata messa al lavoro per il «leave». Questo sistema è stato concepito per assorbire gli immensi capitali immessi per finanziare la politica digitale (1,4 miliardi di dollari solo nel 2016 negli Usa), ma è stato messo al servizio anche dell’egemonia populista dell’ultra-destra americana. è emerso infatti che Robert Mercer, miliardario conservatore made in Silicon Valley e sostenitore di Trump, ha finanziato Cambridge Analytica con 15 milioni di dollari. Mercer ha finanziato il sito dell’«alt-right» Breibart, snodo dell’attività ideologica in rete dell’ineffabile Steve Bannon, a capo della campagna di Trump, poi cacciato dalla Casa Bianca.

Il problema di Facebook è che era a conoscenza dell’attività di Kogan sin dal 2015. Allora la permise per «uso accademico». Ma poi davanti alle irregolarità non avrebbe reagito. In ogni caso, Kogan ha sostenuto in un’audizione alla Camera dei Comuni a Londra che la “violazione” dei dati, per come è stata descritta, è “scientificamente ridicola”.

Il fondatore della piattaforma Mark Zuckerberg ha però confessato: “I dati degli utenti Facebook non possono essere totalmente al sicuro”. Facebook analizzerà decine di migliaia di app che hanno collezionato i dati, lo sforzo potrebbe costare «molti milioni di dollari», ha detto Zuckerberg. «Come ogni misura precauzionale sulla sicurezza, questa non è una soluzione antiproiettile. Non è che ogni processo di per sé porta sempre a scoprire ogni singola cosa» ma fungerà da deterrente per fermare gli sviluppatori dal «fare cose cattive» e a capire quali dati sono stati abusati. «Il punto di quello che stiamo cercando di fare è rendere molto più difficile per chiunque abusare dei dati».

Una richiesta difficile perché una piattaforma pubblicitaria come facebook è fondata sullo scambio dei dati.

Zuckerberg ha detto che Facebook si impegnerà a diventare il «poliziotto del sistema che ci ruota intorno». Ci «vorrà tempo per elaborare tutti i cambiamenti», «ma mi impegno a farlo nel modo giusto». Ad esempio assumendo, entro la fine dell’anno, 20 mila persone per garantire la sicurezza dei dati e della revisione dei contenuti. Non è una distopia: più sorveglianza significa più «ordine» secondo l’idea di «trasparenza» e «democrazia» proprie della piattaforma. Facebook potrebbe inoltre adottare strumenti di intelligenza artificiale in un periodo di cinque o dieci anni che segnalino con precisione gli “hate speech”. In questo periodo l’azienda potrebbe individuare gli strumenti capaci di distinguere “sfumature linguistiche” nei contenuti per essere più precisi nel segnalare tali messaggi che utilizzano discorso di odio. Per il momento «non siamo arrivati a questo punto».

Facebook sostiene che continuerà a esaminare l’uso improprio dei dati da parte di Cambridge Analytica anche se l’azienda ha chiuso i battenti.

FONTE: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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